venerdì 16 agosto 2013

Pacific Rim - by Guillermo del Toro



Dopo l'impresa di Hellboy 2: the golden army Guillermo del Toro torna sul grande schermo portandosi con se i Kaijū, gli ormai dimenticati mostri del cinema giapponese e i Mecha, gli enormi esoscheletri supermisura dei cartoni animati nipponici. Ammetto di essere entrato nella sala cinematografica molto scettico ma allo stesso tempo fiducioso nelle capacità del signor del Toro. Pensavo di trovarmi di fronte ad un film carico fino all'orlo di botte da orbi ed effetti speciali ma con mia grande sorpresa ho trovato anche molto altro. Premettendo che a mio avviso il film andrebbe visto con occhio “asiatico” per così dire (fra poco capirete cosa intendo) andiamo ad analizzare punto per punto Pacific Rim.

Trama

in un futuro non lontano il mondo è sconvolto dall'attacco di enormi mostri alieni emersi da un portale dimensionale sul fondo dell'oceano Pacifico. Inizialmente i “Kaijū” (così vengono chiamati nel film) vengono fermati con grande fatica e con enormi perdite umane. Le più importanti nazioni del “Pacific Rim” decidono di dar fondo a tutte le risorse economiche possibili per la creazione di enormi Mecha chiamati “Jaeger” per poter sconfiggere le enormi bestie. Gli Jaeger sono dotati di un interfaccia neurale con il pilota che è in grado di muoversi all'unisono con la macchina. I mecha risultano però troppo ardui da pilotare per una sola persona, viene quindi sviluppato un sistema di due piloti che, interconnessi fra loro, pilotano gli Jaeger come il lobo destro e il lobo sinistro di un cervello umano. Grazie agli Jaeger gli umani iniziano a vincere le loro battaglie contro i Kaijū. Dopo questa iniziale rivalsa umana i Kaijū si adattano ai loro nuovi avversari, rendendo i combattimenti più ostici e i Jaeger sempre più obsoleti, finché non viene presa la decisione da parte dei governi del Pacific Rim di smantellare il progetto Jaeger a favore della costruzione di una muraglia costiera. Durante uno di questi ultimi combattimenti il protagonista Raleigh Becket (Charlie Hunnam) perde il fratello e coopilota dello Jaeger Gypsy Danger, riuscendo però a sconfiggere il mostro da solo e a pilotare il mecha fino alla costa. Raleigh, ritiratosi, è impiegato alla costruzione del muro quando viene contattato dal comandante Pentecost (Idris Elba) che ha deciso di comandare un ultimo manipolo di Jaeger in una missione per distruggere il portale dimensionale ed ha bisogno di lui per pilotare Gipsy Danger. Più avanti si scoprirà inoltre che i Kaijū sono in realtà dei cloni, delle armi biologiche fabbricate da una razza di alieni invasori provenienti dall'altra dimensione che intendono distruggere il genere umano e impossessarsi del pianeta terra. La trama non è poi complicata ma l'approccio con cui è stata affrontata la rende unica nel suo genere. Oltre ai mecha utilizzati per combattere mostri enormi come nel celebre manga Neon Genesis Evangelion tutto il film è ricco di spunti e di rimandi al mondo dei manga e degli anime, a partire dalla caratterizzazione dei personaggi, talvolta “estremizzati”, quasi caricaturali come le figure del biologo ossessionato dai Kaijū Newton Geizler (Charlie Day) ed il suo collega matematico Hermann Gottlieb (Burn Gorman) o il personaggio del trafficante di pezzi di Kaijū Hannibal Chau (Ron Perlman) dalla figura imponente ed i vestiti appariscenti. Oltre ai personaggi, come in ogni buon manga o anime che si rispetti il lato psicologico ed il passato dei personaggi influisce molto sulla trama. Avremo infatti a che vedere con il trauma psicologico di Mako Mori (Rinko Kikuchi) la nuova copilota di Raleigh e sulle difficoltà che i due incontreranno nell'instaurare i primi collegamenti neurali, anche qui con grossi riferimenti alla cultura manga sull'importanza dell'affiatamento fra compagni durante i combattimenti. Insomma, come dicevo è un film che va visto con uno sguardo “asiatico”, cercando di goderci i combattimenti per le botte da orbi che ci regalano (ricordandoci che anche nei manga è pieno di questo genere di scontri) e prestando attenzione all'atmosfera fumettistica che si respira. Certo, possiamo discutere dell'effettivo valore artistico di tutto ciò, basta che non mi veniate a dire che era meglio Transformers... voto 6 per la trama, +1 per l'approccio =

(e non ho voluto tirare in ballo il confronto con l'opera "Il Colosso" di Francisco Goya perché mi avreste dato del pazzo visionario...)

Soundtrack

le colonne sonore sono state composte da Ramin Djawadi, artista che nel 1998 attirò l'attenzione di Hans Zimmer in persona che lo ingaggiò nel Remote Control Productions. Lo ricordiamo per le colonne sonore di Iron Man, All the invisible children, Prison Break e Il Trono di Spade. Le colonne sonore sono all'altezza della situazione, seguono bene le azioni ed esaltano l'epicità degli scontri, anche se risultano ripetitive in alcuni passaggi. Voto 8

Fotografia

Se Michael Bay ci ha dimostrato che anche in un film coi “robbottoni” si può fare un gran casino con la fotografia Guillermone del Toro ci fa vedere che è vero anche il contrario. Non è facile gestire la fotografia mentre due bestioni alti trenta piani si scaraventano da una parte e dall'altra per la città eppure, affrontando la questione come una normale scena di lotta, dimenticandoci delle dimensioni dei contendenti ed utilizzando inquadrature semplici e calibrate possiamo goderci i nostri mastodontici lottatori che se le danno di santa ragione senza dover provare effetti collaterali quali vertigini e conati. Una bella lezione di regia al signor Bay. Non per niente il direttore della fotografia è Guillermo Navarro, premio oscar nel 2007 per Il Labirinto del Fauno sempre di del Toro, oltre che direttore della fotografia di grandi capolavori di Robert Rodriguez e Quentin Tarantino, dei quali ricordiamo Four Rooms (nell'episodio di Rodriguez “i cattivi”), Dal tramonto all'alba, Jackie Brown ed Hellboy 2: the golden army. Gli effetti speciali sono ottimi, i mecha e i Kaijū hanno un design impressionante e valgono il prezzo del biglietto. Belli da vedere, tanto che durante i titoli di coda siamo deliziati dai modelli 3D utilizzati per il film spogli delle texture. Voto 8

Recitazione

il film in se non deve aver richiesto una grossa dose di impegno recitativo ma, chi più chi meno, fanno tutti la loro parte in maniera decorosa. Non me la sento di inserire fra i migliori della pellicola il protagonista Charlie Hunnam ed ho fatto fatica a trovare una vera pecca nella recitazione del film

il Migliore: Burn Gorman nella parte del matematico zoppo e complessato. assolutamente perfetto per la parte. Lo abbiamo già visto in The Dark Knight Rises di Christopher Nolan e nella serie tv Torchwood. Qui ci strappa anche un sorriso

il Peggiore: Idris Elba nella parte del comandante Pentecost, un po' stroncato in partenza dalla parte decisamente squadrata in più non risulta convincente in alcune scene.

Segnaliamo inoltre la bambina giapponese che interpreta la piccola Mako Mori nel flashback: semplicemente perfetta.
A parte ciò nulla di memorabile ma comunque sopra la media odierna. Voto 7

Ritmo

non deve essere stato facile gestire il ritmo narrativo in un film del genere. Le scene di preparazione alla battaglia rischiano di annoiare se troppo lunghe mentre le scene di combattimento rischiavano di risultare esose se non risolte entro un determinato tempo. In più serviva spazio per gestire tutte le scene di flashback o comunque le parti dove si andavano a delineare i profili psicologici e le relazioni interpersonali fra i personaggi. Del Toro trova spazio per tutto questo, con qualche escamotage quali la scena dei provini per gli aspiranti copiloti che ci regala qualche bel colpo di arti marziali e spezza il ritmo della narrazione lasciando respirare un po' lo spettatore, e qualche parentesi comica anch'esse per spezzare il ritmo. Delle ottime trovate per non annoiare. Voto 8

Extra

volevo assegnare un punto in più a Guillermo del Toro per aver riportato i Kaijū sul grande schermo dopo quella fesseria di Godzilla (parlo del film del 1998 con Jean Reno), anche se mi dicono che ne debba uscire uno l'anno prossimo. Rabbrividisco.

Un altro punto in più per aver portato al cinema e all'attenzione occidentale anche se in maniera velata e un po' “subdola” le tematiche orientali dei manga e degli anime

infine un ultimo punto che non posso trattenermi dal regalare a Guillermo per aver insegnato a Michael Bay come si fanno i film coi mecha. Grazie Guillermo. +3

(7+8+8+7+8+3)/5= 8,2

un buon punteggio che sinceramente ha stupito anche me ma non chi credeva ciecamente nelle capacità di regia di Guillermo del Toro. Dopo tanti progetti abbandonati e tanti produttori poco di buono non sono certo che questo fosse il film che più desiderava girare ma sono certo che si sia divertito come un bimbo a farlo. 
Io mi sarei divertito.

Tambu

mercoledì 26 giugno 2013

"Children of Men", by Alfonso Cuarón


“Ogni volta che uno dei nostri politici è nei guai, esplode una bomba.”

film datato 2006 del messicano Alfonso Cuarón e tratto dall'omonimo romanzo (1992) della scrittrice britannica Phyllis Dorothy James, I figli degli uomini ci presenta un futuro distopico e non lontano, dove si fondono elementi già visti in altre opere di fantascienza e fantapolitica (regimi dittatoriali, polizia politica, gruppi terroristici) che ci vengono mostrati in maniera ben articolata e realistica. Il tutto è condito da un'ottima regia, una fotografia studiatissima e delle interpretazioni quasi impeccabili. Andiamo ad analizzare per punti questa interessante opera cinematografica.

-Trama

2027, Londra. Nel mondo non si registrano nuove nascite da 18 anni. Il film si apre su un servizio giornalistico che parla dell'assassinio di “Baby Diego” la persona più giovane del mondo. Da quando le donne sono diventate sterili il mondo è collassato fra guerre civili e atti di terrorismo, l'unico paese ad essere rimasto solido è la Gran Bretagna, grazie ad un regime di duro totalitarismo violento e repressivo, soprattutto nei confronti degli immigrati irregolari, scappati dai loro paesi in guerra. Essi vengono infatti arrestati e portati in strutture detentive simili a campi di concentramento o, se sono fortunati, in prigioni a cielo aperto simili alla Manhattan di 1997 – fuga da New York di John Carpenter. Theo (Clive Owen) è un ex-attivista politico rassegnato a condurre un'esistenza vuota in una società destinata all'estinzione. Suo unico amico è Jasper (Michael Caine) un vecchio hippie che vive in una casa nascosta in un bosco fuori città dove passa i suoi giorni coltivando marijuana ed accudendo sua moglie, giornalista diventata catatonica dopo aver subito delle torture da parte della polizia politica. Un giorno Theo viene rapito dal gruppo terroristico dei “Pesci”, impegnato nella lotta contro le ingiustizie del governo nei confronti degli immigrati irregolari. Theo scopre che il gruppo è capitanato da Julian (Julianne Moore), sua ex ragazza dalla quale si è allontanato dopo la morte del figlio avuto da lei. Julian propone a Theo una grossa somma di denaro in cambio di un lasciapassare per una ragazza di colore immigrata irregolare, lasciapassare che può ottenere contattando suo cugino che gestisce il progetto “arca delle arti” col quale il governo cerca di salvare le opere d'arte che in tutto il mondo stanno andando distrutte dalla follia collettiva. Theo dopo un giorno di indecisione decide di accettare e di procurarsi il lasciapassare ma è costretto ad accompagnare la ragazza e la sua accompagnatrice, un'ex-ostetrica attivista dei Pesci. Il gruppo, che cerca di raggiungere la nave “Domani” che porterà la ragazza al “progetto umano” un team di scienziati che cerca di curare la sterilità femminile, subisce un attacco da delle persone armate in moto e Julian rimane uccisa, ma riescono a fuggire in una fattoria poco lontano sotto il controllo dei Pesci. Qui Theo scopre l'agognata verità: la ragazza è incinta e deve essere portata al “progetto umano” per ricevere le cure necessarie e forse poter trovare una cura per la sterilità. Theo scopre anche che i Pesci vogliono ucciderlo e utilizzare il figlio di Kee come una bandiera per la loro rivolta. Theo, Kee e Miriam, l'ostetrica, scappano all'alba e si rifugiano da Jasper che definisce un piano per portare Kee alla “Domani”: aiutati da una guardia carceraria a cui Jasper vende la marijuana, Theo e le due donne devono riuscire ad entrare nella prigione a cielo aperto di Bexhill, procurarsi una barca e raggiungere la “Domani” a largo della costa. Come sempre lascio a voi le scene finali che garantiscono una forte dose di emozioni e di suspance, con un finale che ricorda quello del libro Farenheit 451 di Ray Bradbury. Trama davvero interessante e coinvolgente, oltre che ricca di spunti di riflessione su argomenti quali politica, tolleranza, xenofobia, eutanasia e la guerra. Voto 9

-Soundtrack

Il compositore John Kenneth Tavener ci propone una serie di tracce molto melodiche e che lasciano un grande spazio alle voci femminili d'opera, quasi dei canti religiosi, molto suggestivi e che riescono a seguire bene le azioni, soprattutto nella scena di Kee e Theo che escono dal palazzo assediato dall'esercito con in braccio il bambino di Kee. devo ammettere che alla lunga il motivo principale annoia e risulta ripetitivo ma non ci sono motivi per dare alla sezione soundtrack meno di 7

-Fotografia

se questa pellicola è così coinvolgente lo deve anche alla fotografia, curata dal messicano Emmanuel Lubezki (nell'ambiente soprannominato “Chivo”), nominato più volte agli Academy Awards per la sua direzione della fotografia, come è successo per questo film. Fra i suoi lavori più importanti ricordiamo Il mistero di Sleepy Hollow di Tim Burton (nomination 1999) Burn after reading dei fratelli Choen e Lemony Snicket – una serie di sfortunati eventi.
Per indurre il pubblico ad essere ancora più coinvolto nella scena, Lubezki si avvale di telecamere che tendono a seguire a piedi i personaggi, senza l'utilizzo di carrelli, abbiamo quasi la sensazione di camminare accanto ai personaggi e di far parte della scena. Ad esempio è memorabile il piano sequenza di Theo che scappa durante una sparatoria in strada, dopo essere stato quasi giustiziato dai Pesci. La telecamera segue Theo che corre fra i calcinacci (in infradito), i proiettili sibilano intorno alla sua testa quasi come se fosse la nostra e la lente che si sporca di sangue quando uno dei prigionieri viene giustiziato brutalmente e rimane sporca per tutto il piano sequenza. Una molto studiata e ben riuscita. Da applausi. Voto 9.

-Recitazione

pochi attori ma tutti molto bravi, a partire dal protagonista, Clive Owen che si da molto da fare, anche Julianne Moore, per quel poco che dura, ci mostra una buona performance ma il migliore...

Il Migliore: è senz'altro Michael Caine, in veste inedita di vecchio hippie fattone ci fa sorridere ma anche riflettere, oltre che regalarci una delle scene di morte più memorabili del nostro secolo (guardate il film e capirete). Così muore un hippie.

Il Peggiore: fra tutti i bravi attori ho scelto Ed Westwick, il televisivo e monoespressivo Chuck Bass di Gossip Girl. Perché sì, c'è anche lui, nei panni del figlio del cugino di Theo, un mummificato davanti a un mini computer che non parla e non muove neanche gli occhi. Si fa solo i ca**i suoi. Non deve dire niente, non deve fare quasi niente. Ottima performance, la più adeguata...

per il resto segnaliamo un grande Peter Mullan che interpreta Syd, la guardia carceraria corrotta e doppiogiochista che parla in terza persona. La battuta sulla “faccia da profughi” è esilarante e recitata benissimo. Voto complessivo 8.

-Ritmo

la narrazione è lineare, con un ritmo ben scandito e abbastanza regolare, non presentando flashback o flashforward di sorta. In generale il ritmo rimane alquanto lento ma mai da rasentare la noia. Voto 7.

-Extra

volevo assegnare un punto extra per l'importanza del messaggio politico e sociale di questo film che non è da sottovalutare ne da trattare con leggerezza, messaggio che dona forza a questo film facendolo superare la barriera del puro intrattenimento che molte pellicole non sono nemmeno in grado di affrontare. +1

I figli degli uomini totalizza pertanto 8,2

un film coinvolgente oltre ogni dire, ben diretto, ben recitato e in sostanza piacevole, che ci riporta alla memoria tematiche già affrontate in opere quali V per Vendetta, Farenheit 451, 1997 fuga da New York, e L'esercito delle 12 scimmie solo per citarne alcuni.


Caldamente consigliato a tutti.

Tambu

martedì 25 giugno 2013

“Man of steel”, By Zack Snyder




Dopo una parvenza di volontà nel voler lavorare di cinema più profondo con Watchmen, Zach Snyder torna al vuoto intrattenimento fine a se stesso già visto con 300.

Le premesse erano alte, vedi le dichiarazioni del produttore esecutivo Nolan (“questo nuovo Superman sarà diverso da qualsiasi altra versione apparsa fino a questo momento al cinema”), vedi Zimmer a guidare l’orchestra, vedi il soggetto più che delicato.

Vediamo un po se l’attesa è stata poi premiata.

-Trama

Nonostante la collaborazione alla sceneggiatura di Christopher Nolan e David Goyer (I due avevano già lavorato insieme nello scrivere un film di un’altra stazza, The dark knight, solo che quella volta c’era anche Jonathan Nolan), la trama si rivela scontata, senza colpi di scena e noiosa.

Non sto neanche a raccontarvela perché fin troppo ripetuta: Jor-El lancia Kal-El verso la terra, il bambino diventa Superman, arrivano i cattivi, Superman vince. Sorpresi? Non credo...

degni di nota solo due punti: la mancanza di buchi di trama e l’aver trattato in maniera un attimo più approfondita la questione di Krypton, faccenda mai mostrata così lungamente nei Superman da grande schermo precedenti.

Un aspetto che mi ha molto deluso è il background psicologico di Clark. Se la trilogia del Batman di Nolan è riuscita a farsi apprezzare così tanto, credo sia merito dell’impronta di realismo psicologico data al personaggio e all’ambiente in cui vive: tutto Batman Begins infatti ha il compito di farci seguire l’evoluzione interna di Bruce Wayne, il perché lui è così, perché compie certe scelte, perché crede in ciò che crede. E data la produzione dedicata a Nolan di Man of steel, mi ero illuso potesse essere così anche per Kal-El, ma così non è stato. Certo Snyder non ha tre film a disposizione e si è dovuto arrangiare, ma ha trattato davvero male la questione.

Dunque, trama soporifera e assolutamente non aggressiva, se dovessi paragonarla a un colore direi calcestruzzo, e neanche armato (sì, sono in sessione esami). 4.

-Soundtrack

Hans Zimmer, la baracca la porta avanti solo lui e i poveri cristi che hanno renderizzato tutto il film. Un attimo più noioso e monotono rispetto alle sue precedenti colonne sonore, di quelle che ascolteresti tutte per intero come nel caso di Inception, a tale motivo non riesco a dargli il massimo, non vorrei fosse l’inizio di una discesa per il maestro tedesco, ma credo più in una piccola caduta.. si risolleverà, si risolleverà. 8.

-Fotografia

Qui abbiamo una bella notizia ed una brutta:
Iniziamo dal peggio: Solita fotografia all’americana, grande qualità dei mezzi ma davvero poca inventiva sul come riempire l'obbiettivo, di quell’ignoranza grafica che ti fa venire voglia di rubargli le mega 3D-Cam da millemila “bucks” e girarci qualcosa per cui valga davvero la pena spendere tutti quei soldi che di certo sarà costata.

Il 3D, appunto, Snyder si è sempre ritenuto non interessato alla qualità 3D e si è visto tutto, il tridimensionale quasi non si vede, e dico andrebbe bene se fosse stato un classico 2D, o se il treddì si fosse pagato meno del normale, ma io ho pagato ben 12 fott*****imi €uro per il 3D, DOV’E’ IL MIO 3D?
Il meglio arriva invece dagli effetti grafici: Un buon 80% del film è interamente un render, ma sono render seri, fatti davvero bene, certo alcune motion-sequences sono fatte un po col deretano (vedi quella in cui Zod scaraventa la macchina di babbo Jonathan dentro casa Kent, pensata davvero male), ma gli effetti grafici meritano tanta stima. Voglio dire son fatti così bene che li prendi quasi per veri, ci sei dentro, ti senti forse coinvolto..ma poi mettono una tartaruga sul ventre Russel Crowe, e li realizzi che sono andati troppo oltre, ci sono dei limiti oltre cui la mente umana non si lascia prendere in giro. 6,5.

-Recitazione

Come tutti i film dai larghi budget, la selezione del cast permette l’ingaggio di attori che sanno fare il loro lavoro, chi meglio, chi peggio, ma bene o male nessuno ti fa proprio disperare.

.Il migliore: Nessuna interpretazione da batticuore pervenuta, il più bravino forse forse Kevin Kostner nei panni di Jonathan Kent, se non fosse per la scena della sua morte, orribile. Magari l’unica che mi faceva un certo effetto quando appariva sullo schermo era Amy Adams (Peggy la figliola masturbatrice di babbo Dodd in The Master) nel panni di Lois Lane, messa li forzatamente in un ruolo fuori posto ma non male interpretato, ma sarà stato merito del mio debole per le rosse...

.Il peggiore: Lara Vor-Van, madre naturale di Kal-El interpretata da Ayelet Zurer, appare per 10 minuti e da il peggio di se, ad esempio quando suo marito Jor-El le spiega che dovranno separarsi per sempre dal loro unico genito che potrebbe morire lungo la via, e lei da brava madre amorosa rimane quasi impassibile alla notizia, se non una lacrimuccia più finta che mai.

Per il resto Russel Crowe bravino ma dopo che Jor-El è stato interpretato da un certo Marlon Brando appena appena 35 anni fa ti aspetti di più. Henry Cavill nei panni di Clark Kent ci sta bene per la statuarietà, magari meglio all’inizio per la barba che mai abbiamo visto su un superman al cinema ma poi entra troppo nella leggenda del personaggio e diventa pathos-impermeabile (dio quant’è brutta la scena della morte di Jonathan). Michael Shannon sembra arrabbiato quasi sul serio ma con quel pizzetto nella seconda parte del film non è proprio credibile, no no. 5,5.

-Ritmo

Gestito in alternanza di ritmi differenti, Snyder non riesce proprio a fare bene il suo lavoro: alterna flashback lenti a scene veloci e non sono di quei distacchi netti che piacciono, capisci che stanno iniziando a fare qualcosa solo quando parte Zimmer, ma il suo merito l’ha già avuto col voto alla voce soundtrack. 4.

-Extra

1. Aspettative non mantenute (-1), e i soldi li ha messi Nolan (-1).
2. Brutto, ma non brutto quanto Superman returns (+1)
3. Tipici sput******nti all’americana: vedi tra le prime scene il primo piano al suo “six-pack”, vedi l’ultima in cui nessuno lo riconosce perché ha gli occhiali da nerd... sul serio, Nolan non si è arrabbiato quando ha visto queste cose? (-2)

Totale: 5 su 10 (così tanto?)

Film d’intrattenimento per bambini, botte da orbi tutto il tempo, nulla più.


PICCOLO EXTRA

Volendomi farmi perdonare dell’enooorme ritardo d’uscita della recensione (Ripeto, la sessione estiva stramazza) vi informo che, per i residenti a Milano, a Palazzo Reale c’è una “mostra” dedicata a nientepopodimenoché Sir. Alfred Joseph Hitchcock. Prezzo d’entrata 8€ (6,5 se studenti) ma non so dirvi se li valga o no, ci sono stato e non ti da più informazioni di quante non te ne dia Wikipedia, certo c’è qualche video interessante ma si trova di meglio restando a casa. Ho colto la bassezza dell’entità della mostra nella sala di The birds, dove gran parte del commento è stato lasciato a Ron Underwood, voglio dire, al regista di Tremors non dovrebbe essere permesso neanche di entrare da spettatore ad una mostra sul regista di Vertigo.
Piccolo consiglio: Se ci andate portatevi 13€ in più, al negozietto all’entrata vendono una buona ristampa de “Il cinema secondo Hitchock” scritto da un certo Francois Roland Truffaut, se amate il cinema dovete leggerlo.

Scusate ancora per il ritardo

Il Tarantino

mercoledì 19 giugno 2013

"A Fantastic Fear Of Everything", by Crispian Mills & Chris Hopewell



“ONCE UPON A TIME, NOT SO LONG AGO...”

Molti film italiani, per una ragione o per l'altra, non vengono distribuiti al di fuori dell'Unione Europea o addirittura non riescono neanche ad oltrepassare i confini italiani. Oggi parliamo di un film molto particolare, ai più sconosciuto per motivi ignoti, una pellicola che non è riuscita a sbarcare oltre le coste dell'Inghilterra, ma non perché mal girato, male interpretato o semplicemente perché un filmaccio come i cinepanettoni nostrani. Film del 2012 scritto e diretto dal duo formato da Crispian Mills (chitarrista dei “Kula Shaker” ed esordiente nel campo del cinema) e Chris Hopewell (direttore di videoclip musicali di molti gruppi quali “Radiohead” e “Killers”) si presenta come una commedia nera inglese low budget con protagonista Simon Pegg che ricordiamo per “Hot Fuzz” e “Shaun of the dead” di Edgar Wright e “Burke and Hare – Ladri di cadaveri” di John Landis. Una commedia divertente, spiazzante, a tratti esagerata che sfrutta al meglio le capacità recitative di Pegg. Ma perché non riusciamo a trovare questo film in Italia? Perché non è mai stato doppiato in altre lingue oltre che l'inglese e perché nessuno lo conosce? Ammetto di non essere riuscito a dare una risposta a queste domande, vediamo comunque di analizzare nel dettaglio perché questa pellicola avrebbe meritato un minimo di attenzione internazionale.

-Trama

Uno scrittore inglese, Jack (Simon Pegg), dopo un periodo durante il quale ha scritto libri per bambini, decide di scrivere un soggetto per una serie televisiva incentrato sugli assassini seriali intitolato “Decades of death”. Per scrivere questo suo soggetto si rinchiude in casa per mesi studiando i più famosi e repellenti assassini del mondo, il loro modus operandi e la loro personalità. Personaggio già pieno di complessi mentali, porta questa sua ossessione a tal punto dall'essere convinto che uno degli assassini oggetto dei suoi studi voglia ucciderlo. Ogni rumore, ogni ombra, ogni elemento “anomalo” della sua casa diventa ai suoi occhi pericoloso, una prova che l'assassino esiste ed sulle sue tracce. La vera trama del film ci viene rivelata dopo meno di mezz'ora: Jack deve uscire di casa per incontrare il produttore interessato a “Decades of death”, pertanto è costretto a doversi lavare dei vestiti (la casa e l'armadio naturalmente sono in condizioni pietose). Il che lo obbliga ad affrontare una delle sue paure recondite e irrazionali: quella delle lavanderie a gettoni. Il panico lo porterà a compiere azioni assurde e controproducenti (incollarsi un coltello da cucina ad una mano, bruciare il proprio bucato e ustionarsi, eccetera) ma alla fine Jack riuscirà ad affrontare le sue fobie grazie all'aiuto del suo psicologo che gli dimostrerà come la fobia non corrisponda ad ogni costo con la paura, ed infine a sconfiggere i suoi timori diventando prima il “mostro” di cui ha paura e poi affrontandolo a quattrocchi, fino a capire quanto esso sia una persona normale a cui semplicemente serve un aiuto. Una trama interessante, forse non lineare e un poco contorta ma ben risolta e ricca di spunti di riflessione. Voto 8.

-Soundtrack

un ottimo lavoro quello della colonna sonora, non invasiva e ben congegnata, alterna tracce che aiutano a trasmettere l'ansia del protagonista allo spettatore e tracce di rock psichedelico che rendono ancora di più l'idea di assurdità del tutto. Da segnalare una bella cover di “In a gadda da vida” e una traccia di Ice Cube (Jack è un patito di gangsta rap). Forse non il punto forte della pellicola ma anche in questo frangente viene svolto un buon lavoro. Voto 8.

-Fotografia

Qui veniamo a uno dei punti più particolari della pellicola. È evidente quanto Mills abbia lasciato la questione della fotografia in mano a Hopewell, tenendosi per se la parte della stesura della trama e del soggetto. Mills, che arriva dall'ambiente dei videoclip musicali (come Michael Bay, dirà qualche malfidato, ma vi assicuro che in questo film il livello è molto più alto, garantito al limone), costruisce un apparato fotografico molto studiato nella composizione e nell'uso delle lenti. Le inquadrature statiche perfettamente studiate: la scena del ristorante dove viene inquadrato lo specchio alle spalle della produttrice per metà dello schermo, permettendo così di inquadrare anche Pegg, o la scena di Jack che risponde al telefono dove viene comunque inquadrato il corridoio buio e vuoto, dandoci l'idea che qualcosa possa attraversarlo all'improvviso, qualcosa che sappiamo non esistere ma della quale ciascuno di noi ha una recondita e irrazionale paura,ed ancora una volta siamo trasportati nella mente di Jack, avendo timore di qualcosa che sostanzialmente non c'è. Le scene dinamiche sono ugualmente curate: la scena della squadra speciale della polizia che entra nella lavanderia e stende il povero Jack con un taser è “esagerata” ancora una volta per dare l'idea dell'assurdità di ciò che sta accadendo, con i poliziotti già pronti a colpire con il manganello alzato prima ancora che Jack abbia toccato il suolo, sospeso a mezz'aria in uno slow motion davvero esilarante. Degna di nota una sequenza girata con un grandangolo, lente che notoriamente serve a “vedere di più” tramite la deformazione dell'immagine, ma in questo caso la lente ci fa vedere tutta la stanza tranne il soggetto della paura di Jack, oggetto che compare all'improvviso quando il piano sequenza è ultimato, piano sequenza che ha inquadrato solo e solamente il volto terrorizzato e impietrito di Jack, ruotando attorno a lui nella stanza, facendoci vedere tutto, tutto tranne l'oggetto della paura. Infine un altro momento di grande fotografia cinematografica la breve scena di Jack che entra in un sottopassaggio vestito del solo cappotto con cappuccio mentre trasporta il bucato chiuso in un sacco nero. La prima cosa che viene inquadrata è la sua ombra che velocemente percorre tutto il tunnel fino a ricongiungersi alla silhouette al personaggio prima di seguirlo lungo il percorso del tunnel, sequenza che ci riporta alla memoria film degli anni '30 come “M – il mostro di Düsseldorf” del grande Fritz Lang. Diavolo sarà un direttore di videoclip ma il signor Hopewell sa il fatto suo. Voto 9.

-Recitazione

Simon Pegg domina lo schermo per tutto il corso della pellicola. Il film è costruito attorno alla sua personalità ed alla sua maniera di recitare, quindi non poteva essere altrimenti, ad ogni modo nelle rare scene dove si impongono altri attori ho avuto occasione di farmi un idea su “il migliore” ed “il peggiore” della pellicola

Il Migliore: naturalmente Simon Pegg. Eccezionale, schizzato al punto giusto, realistico, impeccabile nelle battute nelle espressioni. Il film è costruito attorno a lui e lui da il meglio di sé.

Il Peggiore: ho fatto davvero fatica a trovare un “peggiore” all'interno della pellicola, alla fine ho scelto Alan Drake, nella parte di Tony Perkins, l'assassino ma non troppo dello scantinato. Non convince del tutto, a tratti troppo teatrale e troppo “all'inglese”

nel complesso comunque un buon lavoro da parte degli attori. Molto divertente la ragazza vietnamita che cerca di “aiutare” Jack a fare il bucato, davvero brava. Voto 8.

-Ritmo

sequenza delle scene ben dosata, non troppo lenta nella fase di “incipit” alla trama, non troppo rapida nella fase di intreccio. Film non memorabile per il ritmo ma nel complesso la questione è stata ben risolta. Voto 7.

-Extra

ci tengo ad assegnare un punto bonus per il fatto che si tratta di un film inglese pressoché sconosciuto in Italia, in Europa ed oltreoceano. Un film meritava molto più spazio di quanto gli è stato dato. Inoltre volevo regalare un ultimo punto bonus per il valore affettivo che questo film riveste. Ne scoprii la locandina nella metropolitana di Londra un anno fa con alcuni amici anche loro fan di Simon Pegg che come me sono rimasti delusi dal non aver visto questo film nelle sale italiane. +2

il totale si ferma pertanto a quota 8,4


un punteggio importante per un film che come dicevamo non è mai uscito dall'Inghilterra. Si tratta di un'interessante sperimentazione, un film coinvolgente e piacevole da seguire. Una piccola meraviglia in grado di stupire come pochi film sanno fare. E allora, perché Internet Movie Database lo tratta così male? Perché Rotten Tomatoes lo considera un film di nicchia? Perché un film prodotto da Universal non ha mai attraversato la Manica? Mistero...

Il Tambu

venerdì 14 giugno 2013

"La Grande bellezza", di Paolo Sorrentino



Ci aveva stregati con This must be the place e lasciato dolci memorie come L’uomo in più e Le conseguenze dell’amore, dunque all’eco dell’imminente uscita de La grande bellezza è difficile non essere curiosi dell'ultimisismo lavoro di Paolo Sorrentino. Ve lo dico subito: a me il film non è piaciuto, parecchie spanne sotto al vecchio Sorrentino nella qualità, parecchio più in alto invece nelle ambizioni, è un film che critica una categoria nel quale però presenzia il film stesso. Un cinema misero e pietoso che si pesta i piedi da solo, uno dei miei commenti a fine film è stato “sembrava uno scialbo tentativo di Neri Parenti di girare un dramma”.

-Trama

Jep Gambardella (Toni Servillo) è un giornalista d’alto rango, esordiente a soli 26 anni con un romanzo di grande aspettativa decide però di abbandonare la letteratura dicendosi deluso da se stesso e si da dunque al giornalismo. Personalità di spessore culturale e critico immenso, ti resta impressa per la sua aria di superiorità mentre ha a che fare con Roma, le sue bellezze e ,soprattutto, i suoi nei.
Ho visto nel film molta volontà critica da parte di Sorrentino ma non capisco come abbia fatto a gabbare così clamorosamente così tante cose, essendo a mio avviso uno dei “meno peggio” italiani viventi. Partiamo appunto dalla trama. Molto (forse) poetica anche se non proprio originale, presenta tutti i difetti del cinema di serie B: E’ tutto così clamorosamente prevedibile, ad esempio dal fatto che Jep stringerà amicizia con Ramona (Sabrina Ferilli) sin dal diagolo con suo padre, a quando verso la fine ha un contatto visivo col suo vicino di casa e capisci già che sta per parlargli o meglio, sai già che sta per fare riferimento alla scena di un’ora e mezza fa. Oddio si ci hai provato quando hai fatto ammettere a Ramona di essere malata e poi ci hai fatto venire un colpo a tutti facendocela credere morta quando in realtà dormiva, ma ce l’hai fatta comunque crepare nella scena dopo e con una mordenza davvero inesistente, un po come dire “Vi siete spaventati eeh, credevate l’avrei fatta morire così subito dopo aver ammesso la malattia, e invece... Anzi no, aspettate, sembrerebbe proprio debba farla morire ora”. Un’altra delle cose che colpisce dritto allo stomaco sono i fuori trama: come tratteremo piu avanti Sorrentino si avvale di un ottimo direttore della fotografia, sfruttato all’inverosimile per tirar fuori sequenze da paura si, ma che lasciano il tempo che trovano. Non sono giustificate, non sono quasi mai collegate tra di loro, non hanno un’appendice, un collegamento, nulla. Ad esempio come mai Jep decide di tornare al club dopo tutti quegli anni proprio quella sera? E cosa mi centra la scena del Burqua (bellissima si, emblematica, ma nulla più), o quella del turista che sviene, o tutte le altre che mi ci hai buttato dentro solo per avere la fotografia eccelsa e richiamare Fellini? Tutta la tematica centrale di critica del film si limita solo ai discorsi ben scritti (ma mal letti) di Gambardella, tutto ciò che Sorrentino vuole esprimere lo fa fare solo a parole e non si fa così, questo non è cinema, perché lo schermo in questo caso è nulla più che una cornice con belle fotografie. La trama centrale non è avvincente (tanto meno originale) e non ti da motivi di aderenza, tanto meno di voler seguire, nell’attesa di un momento in cui magari il tutto si ribalti e la critica si faccia pesante ma no, è solo una stoccata di striscio, furia francese e ritirata spagnola. 3.

-Soundtrack:

Godibile in tutte quelle scene che non comprendono feste e Antonello Venditti (si, c’è anche Antonello Venditti), per il resto no. Le lunghissime sequenze dei festini ti fanno salire il tunz al cervello fino all’esaurimento (e le sequenze nonsense pro-fotografia non aiutano) ma il soundtrack è forse il penultimo dei problemi. Volendo partire da un 6 per “il soundtrack di tutte le altre scene”, pulito ma già troppo sentito, tolgo uno 0.5 per il senso di nausea che forse le scene delle feste volevano passarci proprio volontariamente ma senza guadagnarsi proprio il nostro affetto: 5,5.

-Fotografia:

Se il soundtrack era il penultimo problema, la fotografia è proprio l’ultimissimo. Sorrentino si avvale di un grande maestro dell’arte daguerrese come Luca Bigazzi ma sembra quasi lo metta li e gli dica “tu pensa a delle belle sequenze fotografiche e girami qualcosa, che poi vedo io come inserircele nella trama (sta mentendo Luca, non lo farà!”. Immagini davvero belle, ok, molte da cartolina e non mi sento di penalizzarle per i contesti perché li ho già fatti pesare parecchio nella trama, non do di più solo perché di ambizione chiaramente fin troppo Felliniana, e se punti così in alto o superi o rimani nel dimenticatoio assieme agli altri fallimenti (tutte le sequenze a caso del film non valgono la scena di apertura di 8 ½). Ci sono poi rare occasioni della computer grafica e, che dire, ho visto il Tambu fare molto di meglio con soli Sketchup e Lumion. Do 8 perché 8,5 mi saprebbe di insulto a qualcuno...

-Recitazione

E qui casca un altro gran bell’asino. Preannuncio che all’attuale non ci sono attori italiani che mi facciano impazzire perché ritengo il cinema italiano troppo figlio del teatro e infatti tutte, dico tutte e ripeto fin dalla prima all’ultima interpretazione sono tutte pastose e forzate, gli attori di teatro sono da teatro, il cinema è un’altra cosa. Tim Burton ha Johnny Depp, Refn ha Gosling, Scorsese ha DeNiro e Sorrentino ha Toni Servillo, forse quello che sembra messo più a suo agio nel recitare ma i monologhi narrati sono così duri e macchinosi che ti vien proprio voglia di metterci un po di lubrificante. E’ un po al scelta del cast in generale che devo dire mi ha fatto molto penare, motivo l’incongruenza col messaggio. Paolo Sorrentino vuole infatti farci credere di star mostrandoci un film che ha come fulcro la critica della vita mondana e dell’istituzione mentale degli italiani, ammalata dall’istruzione e dai media, e per fare ciò va a usare proprio quei personaggi, quegli attori che nel trash ci sguazzano come suini nel loro letame, vedi Carlo Buccirosso, vedi Sabrina Ferilli, le varie ex soubrette e compagnia bella. Unica presenza che mi ha fatto molto piacere quella di Roberto Herlitzka, un attore che ammiro molto, lo ritengo la voce più bella d’italia dal 2000 (e andate a vedere chi è morto nel 2000..).

.Il Peggiore: Carlo Verdone nel ruolo dell’amico Romano. Sarà che io non ho mai potuto vedere Verdone, capace di fare a gara con se stesso in cosa sia peggio se come attore o come regista, sarà che come per Alessandro Gassmann e Christian De Sica lo reputo un insulto a suo padre, sarà che ormai sa andare avanti solo a interpretazioni e battute trash fondate sui cliché o su uno pseudo-intellettualismo che ti fa venire voglia di cercare una corda, uno sgabello e degli alti pali scoperti. Il giorno che smetterà di fare cinema sarà festa come quando catturarono Bin laden.

.Il migliore: una comparsata di 5 secondi 5 in un bar verso metà del film: un povero anziano lavoratore che sembra proprio starsi godendo la sua pausa birra mentre guarda la televisione, l’unico in grado di saper recitare in maniera davvero credibile il suo ruolo, l’unico probabilmente li in mezzo a non aver mai preso lezioni di recitazione, e lascia tanto pensare.

Volendo chiudere l’orribile discorso recitazione vi rendo coscienti del fatto che più volte durante il film ho avuto l’urto del vomito invocando la fine della pellicola, provato dalla la troppa finzione espressiva dal primo all’ultimo minuto, e se non devo dare 1 qui... do 2 solo per Servillo, per il vecchio e per Herlitzka.
P.S. Piccola nota: Sabrina Ferilli questa volta si distingue dalla massa: infatti lei sarebbe cagna persino come attrice teatrale.

-Ritmo:

Nella sua facezia da intellettualone Sorrentino fa molte citazioni, solo che alcune le gabba per credibilità, come quando gli viene presentata una certa Paulina (spero di ricordare bene nomi e libri) e Jep ovviamente ha come prima cosa da dire “Ah, come la Paulina di Delitto e castigo di Dostoevskij” come se non avesse mai conosciuto una Paulina in vita sua, potevo magari capire un Filippovna e pensare alla Nastasija Filippovna ne L’Idiota, sempre di Dostoevskij. Filippovna diamine, altro che Paulina. In altri casi invece addirittura le ripete, giusto per essere sicuro che lo spettatore abbia capito e che non si pensi mai che lui sia un regista di quelli ignoranti eh, e allora ripetiamo per due volte nel film “Si dice che Feuerbach abbia sempre voluto scrivere un romanzo sul nulla ma non vi sia mai riuscito”, e poi alla fine ti rendi conto che l’unica cosa a non essere basata sul nulla e al non darti nulla, sia proprio il film che hai sotto gli occhi. Non essendoci una forte trama centrale ed avendo sequenze e musiche bellissime si, ma molto scialbe, il ritmo ti stende soporificamente, sempre ammesso che tu non abbia ancora i conati di vomito per la recitazione: 4.

-Extra

Un punto in meno per ogni grande boiata:
  1. La questione del toro che da il cornuto all’asino, questo film mi sa proprio di una grandissima, scusate il termine, “paraculata” per cercare di mettersi dall’altro lato ma senza riuscirci, continuando a mangiare nel piatto in cui si sta sputando.
  2. L’estrema ambizione, voleva fare un film che raccogliesse la stupefacenza foto-narrativa di 8 ½ e l’immenso fascino romano di La dolce vita, dimenticandosi però che sono i due capolavori più assoluti del forse più grande regista italiano mai vissuto, mentre lui è uno che ha fatto un cameo interpretando se stesso facendo lo splendido (vedi Boris).
  3. La Ferilli e Verdone.
  4. Delle musiche di tutto il film, quelle che ti rimangono più in testa di tutto il film sono quelle caratterizzate dal tipico “tunz”

Voto totale in decimi: 3,7

Piccola nota aggiuntiva: Una volta scritta la mia ho letto tantissime altre critiche a proposito de La grande bellezza e per il buon 90% ne sono rimasti tutti molto entusiasti. Sarà che non l’ho capito io, sarà che manca qualcosa alla gente, ma se vi sentite curiosi a riguardo andateci pure, chissà..


Il Tarantino

mercoledì 12 giugno 2013

“In Bruges”, by Martin McDonagh



film datato 2008, primo lungometraggio del commediografo inglese Martin McDonagh, In Bruges rappresenta un grande esempio di commedia nera del panorama cinematografico.
Martin McDonagh debutta come commediografo teatrale nel 1996 con The beauty Queen of Leenane, primo capitolo di una trilogia. Con la sua seconda trilogia teatrale, The Aran Islands Trilogy si afferma come sceneggiatore di successo. Nel 1997, all'età di 27 anni, quattro dei suoi spettacoli vengono rappresentati simultaneamente nei teatri del West End londinese, record eguagliato solo da William Shakespeare. Nel 2005 vince un Oscar per il cortometraggio Six Shooter, sua sia la scenografia che la regia. Dopo In Bruges esce nel 2012 7 psicopatici, suo ultimo lavoro sul grande schermo, che ottiene un successo maggiore del precedente titolo dal lato della critica del pubblico.
Insomma, una carriera promettente e lanciatissima nel mondo del cinema. D'altronde si sa che chi si fa le ossa col teatro difficilmente combina porcherie al cinema. Ma bando alle ciance, andiamo subito a parlare di In Bruges – la coscienza dell'assassino.

-Trama

il giovane sicario irlandese Ray (Colin Farrell) ha ucciso per sbaglio un bambino al suo primo incarico. Ray ed il suo collega più anziano Ken (Brendan Gleeson) vengono pertanto mandati a Bruges (Belgio) in attesa che le acque si calmino e con la promessa di una chiamata da parte del loro capo Harry (Ralph Fiennes) con nuove istruzioni. Ken cerca di attenersi agli ordini del capo, cercando di godersi la “vacanza” vivendo da turista e gustandosi i meravigliosi scorci della cittadina belga ed il suo gotico fiammingo. Ray invece è divorato da rimorso e dal senso di colpa, cerca ad ogni costo uno svago che lo possa distrarre dal ricordo terribile di quello che ha fatto, nell'alcool, nella droga o nelle donne. Conosce Cloe (Clémence Poésy), insospettabile spacciatrice del paese della quale si innamora e Jimmy (Jordan Prentice) attore americano affetto da nanismo. La chiamata di Harry arriva, a rispondere è Ken. Gli ordini sono di uccidere Ray poiché il suo errore è stato inaccettabile. Ken raggiunge Ray al parco con l'intento (poco convinto) di ucciderlo ma lo sorprende al tentare il suicidio e riesce a fermarlo. Facendo ragionare Ray, Ken lo porta alla stazione, gli consegna dei soldi e lo fa partire sul primo treno, poi chiama Harry spiegandogli cosa ha fatto e perché è convinto che Ray abbia ancora una possibilità di cambiare la sua vita. Ken decide quindi di aspettare il suo destino a Bruges mentre Ray viene bloccato da un poliziotto sul treno diretto fuori città accusandolo di un'aggressione (realmente commessa) ai danni di un canadese. Come guidato da una thompsoniana “Grande Calamita” Ray viene rispedito a Bruges in braccio a Harry e alla sua furia omicida. Un finale teatralmente sublime che ci fa ricordare Brian DePalma ed il suo Carlito's way. Leffe a fiumi e cocaina. Che trama! Voto 9

-Soundtrack

la colonna sonora non è certo il vanto di questo film che ha ben altri punti forti. Da segnalare molto interessante il fatto che la musica, quasi inesisntente all'inizio della pellicola, diventa mano a mano più presente lungo il corso della trama, specialmente nel finale dove un pezzo struggente di una canzone folkloristica incornicia gli istanti prima del sacrificio di Ken. Anche nei momenti in cui non vi è musica la colonna sonora non è mai “mancante” solo “assente”, non se ne sente un vero bisogno. Voto 7

-Fotografia

Bruges non piace per niente a Ray. Ma non per questo non deve piacere a noi. Bruges è una città meravigliosa e McDonagh non ne butta via niente, dalle due grandi torri campanarie alla più piccola “alcova”. Da segnalare una bellissima inquadratura statica a volo d'uccello sulle due torri illuminate di due colori differenti, l'inquadratura del ponte all'alba e la scena dell'inseguimento a piedi fra Harry e Ray che non ci lascia digiuni di scorci interessanti della città. Buoni i movimenti di camera, calibrati e mai esagerati. Il regista non si lascia andare a virtuosismi di sorta. Ottima scelta. Voto 8

-Recitazione

non sono mai stato un grande fan di Colin Farrell ma qui devo riconoscere che in questo particolare film ci regala un'ottima interpretazione, sia quando fa il “bambino di 5 anni che piange perché ha perso le caramelle” sia quando deve trasmetterci il cruccio interiore del protagonista. Oltre a Farrell non scordiamoci del mezzo cast di Harry Potter e il calice di fuoco: Ralph Fiennes (Lord Voldemort) che interpreta lo psicopatico capo dei due sicari, Clémence Poésy (Fleur Delacour) nella parte della bella spacciatrice belga ma soprattutto...

il Migliore: Brendan Gleeson (al secolo Alastor “Malocchio” Moody) in un interpretazione da manuale. Il discorso sulla torre campanaria avrebbe convinto chiunque (non il suo capo) ed è recitato in maniera pulita e senza sbavature. Un Gleeson così non lo vedevo da Gangs of New York di Scorsese e la cosa mi ha lasciato piacevolmente sorpreso.

il Peggiore: Clémence Poésy. Non recita in maniera disastrosa, anzi. Solo si distingue poco e non convince in alcune sequenze come quella della tentata rapina. Ad ogni modo la concorrenza era davvero spietata.

nel complesso voto 8

-Ritmo

quello giusto. Nient'altro da dire. Un commediografo navigato come McDonagh sa dove dove collocare le scene in funzione della trama, come metterle nel copione e quanto farle durare e questo bisogna riconoscerglielo. Il susseguirsi delle vicende non è mai troppo rapido né troppo lento. Girando tutto un film in una piccola cittadina il rischio più grosso che si corre è quello di rallentare troppo il ritmo per via delle location ripetitive o di accelerare troppo nel tentativo di non incorrere nel primo errore. McDonagh sa muoversi bene negli spazi piccoli e nelle location “anguste” come possono essere le quinte di un teatro. Voto 8

-Extra

forse un piccolo capolavoro ben valutato dalla critica (1 premio BAFTA, 1 British Indipendent Film Award, 1 nomination agli Academy Awards e 1 Golden Globe a Colin Farrell) ma caduto nel dimenticatoio o semplicemente sconosciuto al pubblico. Assolutamente da vedere. +2

siamo arrivati al totale: 8,4


una trama veramente teatrale risolta nel migliore dei modi. Come dicevo un film da vedere, da guardare con attenzione come un quadro fiammingo, per coglierne ogni dettaglio, da gustare come una buona birra belga, ambrata, pastosa e forte.

Il Tambu

venerdì 7 giugno 2013

"Kill Bill", by Quentin Tarantino



“If u’re gonna compare a Hanzo sword you compare it to every other sword ever made, wasn’t made, by Hattori Hanzo”. Ora, sostituite “sword” con “film” e “Hattori Hanzo” con “Quentin Tarantino” e avrete chiaro il punto della situazione.

So che la mia recensione potrebbe sembrare non imparziale, ma è davvero difficile parlare male e senza entusiasmo di una delle opere migliori del probabilmente miglior regista vivente.

Kill Bill è un film del 2003/2004 scritto e diretto da, appunto, Quentin Jerome Tarantino (suo quarto lavoro). Pensato di primo stampo come una pellicola unica, la Miramax “consigliò” al regista di Knoxville o di tagliare delle scene o di dividerlo in due parti, inutile dirvi quale sia stata poi la decisione finale. A tal movente, recensirò i due volumi valutandoli come lavoro unico.

-Trama

Beatrix Kiddo (Uma Thurman) è un killer professionista di alto rango, membro del D.V.A.S. Team (Dead Viper Assassination Squad), nonchè amante del pilastro portante della squadra, Bill (David Carradine). Durante una missione omicida, scopre di essere incinta di Bill, decidendo di abbandonare la sua vita da killer per il bene del suo bambino. Fugge dunque in Texas, ad El Paso, cambiando nome in Arlene Macchiavelli e maritandosi con il proprietario di un negozio di dischi. Bill però, che nel frattempo era riuscito a rintracciarla, irrompe durante le prove del matrimonio, dando il via all’ormai leggendario “Massacro dei due pini”. Durante il massacro infatti, i restanti cinque membri del D.V.A.S. eliminano tutti: futuro marito, parroco, moglie del parroco, amici degli sposi e persino il pianista (interpretato dal signor Samuel L. Jackson). Il colpo di grazia alla sposa è però affidato a Bill il quale, probabilmente vittima inconscia dei suoi ancor vivi sentimenti, fallisce il colpo sparandone uno non fatale al cranio di Beatrix, non uccidendola dunque, ma mandandola in coma. Il coma di Kiddo dura ben 4 anni, al suo risveglio scopre di aver perso il bambino e decide dunque di iniziare una lunga, scalare e manifestata opera di vendetta verso i suoi ex compagni, lasciando per ultimo della lista proprio Bill.
Per quanto possa la trama essere di stampo nippo-martial-trash-splatter, la sua strutturazione ad intreccio la rende estremamente godibile, rendendosi appassionante sia per lo svolgersi della vicenda principale, ossia quella della vendetta di Beatrix, sia perchè con l’andare avanti della storia lo spettatore è portato sempre più a voler conoscere i dettagli del prologo antecedente al coma: il passato di Kiddo, il suo rapporto con Bill, la sua evoluzione come killer e così via. Ad arricchire il tutto un intreccio di metafore originali e riflessive in completa adiacenza alla storia, ad esempio l’affiancamento della personalità di Kiddo con la “metafora del supereroe” di Bill, o come poi le paure di Beatrix sulla forma mentis della figlia effettivamente emergano nei pochi minuti in cui compare B.B. (La figlia, appunto). Strano è effettivamente vedere una bambina di 4 anni parlare così scioltamente del rapporto vita-morte in riferimento alla vicenda del pesce rosso Emilio, sua prima vittima, o come abbia tra i suoi film preferiti Shogun Assassin, film genere jidaigeki davvero ma davvero violento (per chi non l’abbia visto, fidatevi, vedetelo). Volendo quindi partire da un 6 per la trama avvincente, pulita e senza buchi, attribuendole un +2 per l’ottimo lavoro svolto nell’intreccio e un +1 per le bellissime aggiunte che ti fanno comprendere appieno la non banalità e la profondità filosofica della vicenda, un 9 non mi sembra eccessivo.

-Soundtrack

Scusate, ma sarò lungo.

In un’intervista recente, postuma alla collaborazione con Tarantino per Django Unchained, Morricone ha dichiarato di non voler più lavorare con l’americano in quanto non segua, a suo avviso, un filo coerente musicale. Per chi non conoscesse Ennio Morricone, è un noto compositore e direttore d’orchestra specializzato in colonne sonore per il grande schermo, probabilmente il più grande mai esistito del suo settore, storicamente attribuito alle leggendarie collaborazioni col suo concittadino romano Sergio Leone (leggenda vuole che i due fossero compagni di banco, mi pare alle medie) e Sergio Corbucci. Proprio come me, Tarantino è un suo grandisismo ammiratore e ce lo dimostra in ogni sua pellicola, inserendo dei grandi capolavori del maestro romano estratti da lavori passati, quasi sempre western. Ricordo in un’intervista a Leone che lui stesso definiva il compositore un po severo, perchè molto dedito ed innamoato del suo lavoro, e credo sia per questo che forse il mix di classica e commerciale utilizzato da Tarantino faccia storcere un po il naso a Morricone, ma non perchè quest’ultimo non sappia apprezzare il contrasto, bensì a mio avviso unicamente per la profonda religiosità che il maestro attribuisce al suo lavoro e all’importanza coerentemente pilastrale che le sue opere dovrebbero meritatamente avere in ogni film nel quale vengono utilizzate. Detto ciò per evitare di pormi in opinione contrastante ad uno dei miei idoli indiscussi, posso liberamente dichiarare che la collezione di musiche che vanno a comporre il soundtrack di Kill Bill è a mio avviso la più bella colonna sonora non originale mai avuta in un film, e perdonatemi ma dovrò citare parecchi esempi per evitare che mi diate torto. Partiamo proprio dall’inizio, Bang bang di Nancy Sinatra, che già da sola potrebbe essere ascoltata all’infinito, messa in un’apertura dandole un senso così profondo e di inerenza al contesto riesce a darci addirittura di più di quanto la figlia del leggendario Frank non volesse già. Oppure la sequenza di animazione delle origini di O’ren (Lucy Liu), a cura dei Production I.G. (famosi per Ghost in the shell), accompagnata da un’estratto del grandissimo (e ormai dimenticato) Luis Bacalov, originariamente colonna sonora de Il grande duello (Giancarlo Santi) e spezzato in due parti, nel cui mezzo piomba I lunghi giorni della vendetta del defunto da poco maestro Armando Trovajoli, che dire.. Oppure la scena della morte di Bill, accompagnata e resa indimenticabile dal drammaticissimo Navajo Joe, sempre di Morricone, e soprattutto l’arena, estratto da Il mercenario (Sergio Corbucci), scena a cui Tarantino ha gia fatto ben quattro citazioni in tre film diversi (Il roteare delle bolas, uguale a quello di Gogo in Kill Bill, L’apertura del pezzo di accompagnamento usato in Inglorious Basterds nella scena che dà l’entrata dell’orso ebreo, la seconda parte dello stesso pezzo, presente sempre in Kill Bill nella scena in cui Beatrix si libera dalla tomba di Paula Schultz e la scena della morte del “riccio” nel film di Corbucci, praticamente identica a quella della morte di Calvin Candie, interpretato da Leonardo DiCaprio, in Django unchained). E in mezzo a questi pezzi storici cascano pezzoni come The green Hornet di Al Hirt, o la straziante About her di Malcolm McLaren, per poi non parlare del Twisted Nerve di Bernand Herrmann, diventato ormai leggendario (e mia attuale suoneria). I pezzi sono tanti, tutti fantastici e nessuno messo li a caso, vorrei citarli tutti, davvero, ma rischierei di annoiarvi ed è tra le mie ultime intenzioni. Spero solo non abbiate nulla da ridire ma data la scelta spasmodica e accurata, la qualità dei brani e l’amore per il cinema che traspirano, se non do un 10 al soundtrack di Kill Bill, non so davvero dove altro metterlo.

-Fotografia

La fotografia è semplice ma eccelsa. Da molti criticata ad esempio per il sangue “troppo finto” (in particolare nel primo volume), o per la bassezza degli effetti speciali sempre inerenti al capitolo “Resa dei conti alla casa delle foglie blu” ma il punto è che, proprio come in Grindhouse: Deathproof lo stile adottato da Tarantino vuole essere esplicitamente di stampo inerente al genere di riferimento. Essendo infatti il primo capitolo per la maggior parte riguardante O’ren di ispirazione dichiaratamente jidaigeki, ne prende tutte le sembianze, da quelle più poetiche (la mancanza di armi da fuoco, lo scontro di spade sotto la neve) a quelle più irreali, come l’eccessiva marcatura del rosso del sangue, gli spruzzi emorragici selvaggi o gli arti tagliati palesemente finti, vedi la scena della mozzatura del braccio di Sophie Fatal (Julie Dreyfus, grande amica di Quentin, la quale omaggerà dando il suo cognome alla protagonista di Inglorious Basterds, Shoshanna Dreyfus). Tutti questi sono aspetti che non vanno a far perdere, ma ad elevare una prestazione fotografica così coraggiosamente anti-avanguardista e quasi melanconica (e io direi che dovreste quasi rigraziare la qualità degli effetti speciali, dato che nei jidaigeki veri erano davvero ma davvero pessimi, ma se ascolterete il mio consiglio e andrete a vedere Shogun Assassin ve ne accorgerete poi voi stessi). Passato questo punto, le rare paesaggistiche fanno il loro dovere, da notare i contrasti e le scelte dei colori. Altra piccola nota positiva la sequenza animata a cura del già citato gruppo Production I.G., molto aderente all’ambience di degrado, animazioni più curate e candide alla Miyazaki (Il castello errante di Howl, Il Porco rosso, memorabile per la battuta “Meglio porco che fascista”) avrebbero distolto troppo da quella che sarebbe stata l’atmosfera voluta dal regista ed a mio avviso azzeccatissima, 8.

-Recitazione

Il cast di Kill Bill è superbo, recitazione eccezionale e senza sbavature dalle comparse ai main characters. Il perfezionismo e la precisione metodica di Tarantino, come in tutte le sue opere (è riuscito a far recitare bene persino Bruce Willis in Pulp Fiction, ricordiamocelo) si riperquote anche qui. Persino un attore che, diciamo così, non gode proprio della mia stima come David Carradine (Bill), qui riesce ad impersonare un personaggio altamente carismatico e dal fascino magnetico. Una delle interpretazioni più leggendarie della pellicola è senz'altro quella di Elle Driver (Daryl Hannah, forse la ricorderete nelle vesti della replicante Pris in Blade Runner), ormai un'icona, con la sua benda e il suo "bellissimo occhio blu", la sua pura malvagità e soprattutto, il suo Twisterd nerve fischiettato.

.Il Migliore: All’inizio ero molto indeciso sul vincitore del titolo, molto conteso tra Michael Madsen (Budd) e Michael Parks (nel secondo capitolo, nel ruolo di Esteban Vihaio). Michael Madsen da solo con la sua interpretazione vale il prezzo del biglietto, voglio dire, più che eccellente. Sia per la bipolarità del personaggio, sia per i dettagli espressivi ma paga la troppa somiglianza con il suo ruolo nell’ ultimo lavoro con Quentin : Mr. Blonde in Reservoir Dogs. Entrambi parti incise a fuoco nella storia del cinema, ma entrambe tanto simili, e questo vale quel centesimo di punto in meno che fa invece esaltare la performance dell’allora 63enne Michael Parks. Esteban Vihaio, Vihaio è di quelle interpretazioni che ogni tanto si fanno cercare su youtube solo perchè hai voglia di rivedere, è di quelle che più in alto c’è poco e niente. Esteban Vihaio è di quelle parti in cui non riconosci l’attore se non nei titoli di coda (a meno che tu non sia un suo fan), è di quei personaggi che compare in appena 5 minuti di film ma che hanno una presenza così imponente che non ti si levano più dalla testa, e Michael Parks te la fa esaltare in maniera sublime, dal dettaglio dell’accento a quello della palpebra ballerina, leccornioso.

.Il peggiore: “Il peggiore” detto in questo caso mi sa di troppo grave, quindi facciamo che definiamo Sophie Fatal (Julie Dreyfus) la “meno meglio”. Ruolo recitato si bene, simpatica anche la scena in flashback del pestaggio della sposa con lei che cinicamente risponde al telefono (Moshi moshi), è solo che il suo personaggio non da quanto potrebbe, è quello che mi è essenzialmente piaciuto di meno, persino meno dell’aiutante di Budd nello scavare la fossa a Beatrix.

Recitazione quindi tuttavia superba, partiamo da un 6, +2 per Parks e Madsen, +1 per una Thurman che raramente riesce a farci emozionare come attrice ma che qui sa il fatto suo. Quindi un bel 9, e sono stato pure severo.

-Ritmo

Vi dico solo che ogni tanto, quando mi viene voglia di rivedere una scena del film, una volta aperto il video e trovata la scena quando finisce proprio non riesco a chiudere, devo vederlo, lo so già a memoria, ogni battuta, ogni fotosequenza, ma devo vederlo. E’ di quei ritmi così coinvolgenti e così “presobene” che per interrompere prima che finisca devi essere davvero un deviato mentale (o un emofobo). Sono più di quattro ore di film, ma hai voglia di vederlo tutto, sempre, fino alla fine. Complice le musiche, complice la trama a scalare, complice le interpretazioni e le citazioni, è emozionante dal primo all’ultimo secondo, e non puoi non amarlo, 10.

-Extra

Ho sempre reputato Quentin uno di quei registi che unisce le folle: chi di cinema non ci capisce molto apprezza la violenza delle scene e delle trame, chi la mattina a colazione mangia pellicole e a cena proiettori lo ama per l’intrinsichezza del tutto e per le grandi citazioni, dalle più facilmente afferrabili a quelle che solo veri appassionati come lui afferrerebbero. A differenza invece di altri registi si leggendari, ma che i non appassionati spesso snobbano (errando, per carità) come Kubrick o Bergman, Hitchcock, Fellini e via. E’ un cinefilo che fa film per cinefili e non, e non amarlo è impossibile. Reputo Kill Bill forse il suo lavoro migliore, è ormai una pietra miliare del cinema, è già oggetto di studio alle facoltà di cinema, è uno di quei film che bisogna vedere almeno una dozzina di volte nella vita, non odiatemi, ma meno del massimo non so dargli, +10.

Totale, un bell’ 11,2 su 10, ehhh già, e non me ne pento.

Se non l’avete ancora visto, non capisco a quale scopo stiate ancora vivendo.


Il Tarantino