Essendo ancora innamorato di Drive e del fantastico Bronson, Only God forgives era un titolo che
proprio non volevo perdermi. Il regista danese è gran calibratore di ritmi
lentissimi, a volte sublimi nel far tremare di tensione, a volte essenziali per
poter apprezzare appieno il gran bel lavoro fotografico, altre ancora grandiosi
per far vibrare ancor di più nelle rare ma violentissime scene a cui Refn ci ha
ormai abituato. Con quest’ultimo montaggio il regista di Copenhagen blinda le
sue scelte stilistiche (la stampa estera già conia termini a suo nome, come
“Refnesk”) ma azzarda ancora di più, regalandoci una storia davvero non
convenzionale dove la vendetta e interamente in mano al “cattivo” di turno e
dove il nostro protagonista veste le sembianze di una figura largamente
sottomessa, lontano dall'essere un “real hero”, come la main soundtrack di Drive ci ricordava.
-Trama
La dorsale della trama è davvero semplice e comune: Due
fratelli americani gestiscono un racket di spaccio di droghe pesanti a Bangkok,
coperto da un’attività di pugilato. Il fratello maggiore Billy (Tom Burke,
presente in appena tre minuti di film) trucida una prostituta thailandese,
subendo la giustizia fai-da-te di un noto poliziotto ormai in pensione di
Bangkok, Mr. Chang (Vithaya Panisringarm, noto forse solo per una piccola parte
nel ruolo del Ministro in The Hangover II).
La madre Crystal (Kristin Scott Thomas, eccezionale in Quattro matrimoni e un funerale nel ruolo di Fiona) giunge quindi
in Thailandia, ufficialmente per recuperare la salma del primogenito,
essenzialmente per consumarne la vendetta. Qui apprende che il secondo figlio
Julian (Ryan Gosling, già protagonista con Refn nel precedente già citato Drive, noto anche per l’interpretazione
del bello di turno in The notebook, i
nostalgici lo ricorderanno secoli or sono nel ruolo di Hercules nella serie TV Young Hercules) che la faccenda è più
complicata di quel che sembra, essendo il primo colpevole un personaggio con
cui non averci niente a che fare. Crystal però, donna dal gran carattere,
decide di non lasciarsi tangere dalle parole del figlio e avvia comunque la sua
manovra di vendetta.
Nonostante sia la trama principale, come già detto,
piuttosto banale, la breve vicenda (90 minuti di pellicola) riesce comunque a
sgusciare fuori dalla prevedibilità, con uno svolgimento di eventi che farà
storcere il naso a tante, tantissime persone, ma che ai più annoiati dalle
solite dinamiche vendicative farà tanto piacere. Non vi anticipo nulla di più
perché l’unicità sella sceneggiatura fa si che io preferisca che la scopriate
da voi, facendovi odiare o amare il film. Io sono personalmente rimasto molto
interdetto alla fine della proiezione, non riuscendo a capire se mi fosse
piaciuto o no, ma poi mi sono ricordato di come ogni volta che guardo un film,
alla fine penso tra me e me “come vorrei che una volta tanto il regista
decidesse di fregarci facendo finir male il buono”. Refn ha accontentato le mie
richieste, ma in una maniera che sinceramente poteva essere elaborata meglio.
Essendo la trama molto carente da una parte ma molto avanguardista dall’altra,
credo che i due pesi si possano bilanciare accordandosi per un 6.
-Soundtrack
Tra gli aspetti migliori che Refn riesce sempre a fornire,
ci sono le musiche. D’accordo coi ritmi davvero lenti, nelle sue pellicole il
palcoscenico è affidato per il buon 60% al silenzio, calzandolo a pennello
direi. Nel restante 40% si alternano musiche spesso contrastanti, così come i colori,
sempre deliziose nel regalare emozioni, vedi Tur kue kwam fun (che cantata dolcemente dal “cattivo” Chang offre
un qualcosa di intrinsecamente favoloso) che poi lascia il posto al pezzo degli
M83, bellissimo nell'attirare col trailer pirotecnico e ad offrirci poi una
scena di combattimento frustrantemente deliziosa. 7,5.
-Fotografia
Come già detto, il regista della trilogia di Pusher è solito
giocare molto sui contrasti, elevati dalla scelta di pochi colori ma basilari
in Only God forgives. Libidine per
gli occhi il forte rosso fluo onnipresente, qui per gli arredi, li per il
sangue. Campi quasi sempre stretti, spesso claustrofobici, ogni tanto prendono
aria su un paio di grandi viste su Bangkok. Non riesco a ricordare però più di
un paio di scene girate alla luce del sole (ed una delle due è al tramonto).
Godibile ma non mozzafiato, 7.
-Recitazione
I dialoghi sono ridotti all’osso, duro perciò giudicare.
.Il migliore: Kristin Scott Thomas nel ruolo della madre
Crystal. Forse perchè è il personaggio che parla di più, forse perchè sono
abituato a vedere la Thomas in ruoli completamente differenti e questa per lei
è stata una grande sfida, molto brava nel rendersi irriconoscibile in questo
film. Vorrei rivederlo in lingua originale per appurare quanto un’attrice franco-inglese
sia riuscita ad emulare vocalmente un’americana dal gran caratteraccio.
.Il peggiore: vorrei dire Gosling perchè il suo ruolo è
davvero ma davvero facile. Volto fermo, espressione che non cambia mai, direi
quasi blocco di tufo volendo citare il Tambu nella recensione di The Game, ma alla fine l’enigmicità
spudorata del suo personaggio è anche questa, e forse va bene così. Volendo
scagionare quindi Gosling, direi i due thailandesi nel night club, di cui uno
viene malamente menato da Julian, la loro è classica recitazione da attoracci
asiatici.
Bravino Panisringarm, ma ruolo facile anche il suo, gli
unici ad offrire vere e proprie inetrpetazione sono i personaggi secondari, non
vincolati dagli sguardi da duro inscalfibile. 6.
-Ritmo
Detto e straripetuto, Refn ha il suo marchio di fabbrica
nei ritmi stralenti, che forse troverebbero più gloria in espressività più
complesse ma che effettivamente ti sospendono tra il nulla del silenzio, del
ritmo e dell’inespressività dei personaggi, lasciandoti focalizzare
profondamente sullo svolgimento degli eventi. Ritmo interessante specie se
affiancato ad alcune situazioni di pura tensione e eleva il suo fascino in
sequenza a scene a scatti più dinamiche. Fossero i suoi primi film varrebbe una
valutazione più alta, ma ormai vogliamo qualcosa di più da Nicolas, 6,5.
-Extra
Stilisticamente quindi un buon film, che può lasciare però
insoddisfatte molte persone. Lascia apertisismi infatti molti punti,
abbandonandoli all’interpetazione dello spettatore. Piccanti i rapporti
interfamiliari e la personalità incomprensibile di Julian (+1), che rende
ancora molto più apprezzabile l’escalage di legami affettivi e rispettosi del
protagonista dapprima con la morosa (quanto apre di botte un cliente solo
perchè ha riso dell’imbarazzo di lei), poi con la madre (malmenando
inaspettatamente la sua bella dopo una sua insinuazione sul caratteraccio di mamma)
e infine con Chang (il rispetto ed il timore che nutre verso di lui fanno si
che non cerchi neanche vendetta dopo aver perso la madre per mano sua) che il
danese ci mette in sequenza con lo scorrere del film (+1).
Un bel +2 che quindi vale un totale di 7 in decimi
Suggerisco a tutti due cose quindi:
1 1.Vedetelo (a meno che no siate sensibili al
sangue) e scoprite da voi se il “sospeso” che offre Refn faccia per voi oppure
no.
2 2.Restando in tema Refn, vedetevi Bronson accipigna.
Chiudo annunciandovi la prossima recensione che parlerà di
Kill Bill, capolavoro assoluto di Tarantino. Vi anticipo anche che probabilmente
ci sarà una recensione extra nel week-end postumo alla mia prossima critica, ho
visto infatti La grande bellezza,
ultimo di Sorrentino. Sono andato a vederlo a puro fine personale, ma non posso
non recensirlo, la gente deve sapere quanto il cinema italiano stia
sprofondando sempre più nel lercio. L’avrei fatta uscire l’altro venerdì ancora
ma passerebbe troppo tempo e sarebbe credo cosa buona e giusta possiate
leggerne qualcosa finchè è ancora in sala, non me la sono sentita di invertire
l’ordine con Kill Bill perchè volevo fortemente fosse la mia quarta (spero
riusciate a cogliere la citazione). Perdonate l’orgoglio.
Il Tarantino
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