venerdì 31 maggio 2013

“Only God forgives”, by N.W. Refn



Essendo ancora innamorato di Drive e del fantastico BronsonOnly God forgives era un titolo che proprio non volevo perdermi. Il regista danese è gran calibratore di ritmi lentissimi, a volte sublimi nel far tremare di tensione, a volte essenziali per poter apprezzare appieno il gran bel lavoro fotografico, altre ancora grandiosi per far vibrare ancor di più nelle rare ma violentissime scene a cui Refn ci ha ormai abituato. Con quest’ultimo montaggio il regista di Copenhagen blinda le sue scelte stilistiche (la stampa estera già conia termini a suo nome, come “Refnesk”) ma azzarda ancora di più, regalandoci una storia davvero non convenzionale dove la vendetta e interamente in mano al “cattivo” di turno e dove il nostro protagonista veste le sembianze di una figura largamente sottomessa, lontano dall'essere un “real hero”, come la main soundtrack di Drive ci ricordava.

-Trama

La dorsale della trama è davvero semplice e comune: Due fratelli americani gestiscono un racket di spaccio di droghe pesanti a Bangkok, coperto da un’attività di pugilato. Il fratello maggiore Billy (Tom Burke, presente in appena tre minuti di film) trucida una prostituta thailandese, subendo la giustizia fai-da-te di un noto poliziotto ormai in pensione di Bangkok, Mr. Chang (Vithaya Panisringarm, noto forse solo per una piccola parte nel ruolo del Ministro in The Hangover II). La madre Crystal (Kristin Scott Thomas, eccezionale in Quattro matrimoni e un funerale nel ruolo di Fiona) giunge quindi in Thailandia, ufficialmente per recuperare la salma del primogenito, essenzialmente per consumarne la vendetta. Qui apprende che il secondo figlio Julian (Ryan Gosling, già protagonista con Refn nel precedente già citato Drive, noto anche per l’interpretazione del bello di turno in The notebook, i nostalgici lo ricorderanno secoli or sono nel ruolo di Hercules nella serie TV Young Hercules) che la faccenda è più complicata di quel che sembra, essendo il primo colpevole un personaggio con cui non averci niente a che fare. Crystal però, donna dal gran carattere, decide di non lasciarsi tangere dalle parole del figlio e avvia comunque la sua manovra di vendetta.
Nonostante sia la trama principale, come già detto, piuttosto banale, la breve vicenda (90 minuti di pellicola) riesce comunque a sgusciare fuori dalla prevedibilità, con uno svolgimento di eventi che farà storcere il naso a tante, tantissime persone, ma che ai più annoiati dalle solite dinamiche vendicative farà tanto piacere. Non vi anticipo nulla di più perché l’unicità sella sceneggiatura fa si che io preferisca che la scopriate da voi, facendovi odiare o amare il film. Io sono personalmente rimasto molto interdetto alla fine della proiezione, non riuscendo a capire se mi fosse piaciuto o no, ma poi mi sono ricordato di come ogni volta che guardo un film, alla fine penso tra me e me “come vorrei che una volta tanto il regista decidesse di fregarci facendo finir male il buono”. Refn ha accontentato le mie richieste, ma in una maniera che sinceramente poteva essere elaborata meglio. Essendo la trama molto carente da una parte ma molto avanguardista dall’altra, credo che i due pesi si possano bilanciare accordandosi per un 6.

-Soundtrack

Tra gli aspetti migliori che Refn riesce sempre a fornire, ci sono le musiche. D’accordo coi ritmi davvero lenti, nelle sue pellicole il palcoscenico è affidato per il buon 60% al silenzio, calzandolo a pennello direi. Nel restante 40% si alternano musiche spesso contrastanti, così come i colori, sempre deliziose nel regalare emozioni, vedi Tur kue kwam fun (che cantata dolcemente dal “cattivo” Chang offre un qualcosa di intrinsecamente favoloso) che poi lascia il posto al pezzo degli M83, bellissimo nell'attirare col trailer pirotecnico e ad offrirci poi una scena di combattimento frustrantemente deliziosa. 7,5.

-Fotografia

Come già detto, il regista della trilogia di Pusher è solito giocare molto sui contrasti, elevati dalla scelta di pochi colori ma basilari in Only God forgives. Libidine per gli occhi il forte rosso fluo onnipresente, qui per gli arredi, li per il sangue. Campi quasi sempre stretti, spesso claustrofobici, ogni tanto prendono aria su un paio di grandi viste su Bangkok. Non riesco a ricordare però più di un paio di scene girate alla luce del sole (ed una delle due è al tramonto). Godibile ma non mozzafiato, 7.

-Recitazione

I dialoghi sono ridotti all’osso, duro perciò giudicare.

.Il migliore: Kristin Scott Thomas nel ruolo della madre Crystal. Forse perchè è il personaggio che parla di più, forse perchè sono abituato a vedere la Thomas in ruoli completamente differenti e questa per lei è stata una grande sfida, molto brava nel rendersi irriconoscibile in questo film. Vorrei rivederlo in lingua originale per appurare quanto un’attrice franco-inglese sia riuscita ad emulare vocalmente un’americana dal gran caratteraccio.

.Il peggiore: vorrei dire Gosling perchè il suo ruolo è davvero ma davvero facile. Volto fermo, espressione che non cambia mai, direi quasi blocco di tufo volendo citare il Tambu nella recensione di The Game, ma alla fine l’enigmicità spudorata del suo personaggio è anche questa, e forse va bene così. Volendo scagionare quindi Gosling, direi i due thailandesi nel night club, di cui uno viene malamente menato da Julian, la loro è classica recitazione da attoracci asiatici.

Bravino Panisringarm, ma ruolo facile anche il suo, gli unici ad offrire vere e proprie inetrpetazione sono i personaggi secondari, non vincolati dagli sguardi da duro inscalfibile. 6.

-Ritmo

Detto e straripetuto, Refn ha il suo marchio di fabbrica nei ritmi stralenti, che forse troverebbero più gloria in espressività più complesse ma che effettivamente ti sospendono tra il nulla del silenzio, del ritmo e dell’inespressività dei personaggi, lasciandoti focalizzare profondamente sullo svolgimento degli eventi. Ritmo interessante specie se affiancato ad alcune situazioni di pura tensione e eleva il suo fascino in sequenza a scene a scatti più dinamiche. Fossero i suoi primi film varrebbe una valutazione più alta, ma ormai vogliamo qualcosa di più da Nicolas, 6,5.

-Extra

Stilisticamente quindi un buon film, che può lasciare però insoddisfatte molte persone. Lascia apertisismi infatti molti punti, abbandonandoli all’interpetazione dello spettatore. Piccanti i rapporti interfamiliari e la personalità incomprensibile di Julian (+1), che rende ancora molto più apprezzabile l’escalage di legami affettivi e rispettosi del protagonista dapprima con la morosa (quanto apre di botte un cliente solo perchè ha riso dell’imbarazzo di lei), poi con la madre (malmenando inaspettatamente la sua bella dopo una sua insinuazione sul caratteraccio di mamma) e infine con Chang (il rispetto ed il timore che nutre verso di lui fanno si che non cerchi neanche vendetta dopo aver perso la madre per mano sua) che il danese ci mette in sequenza con lo scorrere del film (+1).

Un bel +2 che quindi vale un totale di 7 in decimi

Suggerisco a tutti due cose quindi:
1    1.Vedetelo (a meno che no siate sensibili al sangue) e scoprite da voi se il “sospeso” che offre Refn faccia per voi oppure no.
2    2.Restando in tema Refn, vedetevi Bronson accipigna.




Chiudo annunciandovi la prossima recensione che parlerà di Kill Bill, capolavoro assoluto di Tarantino. Vi anticipo anche che probabilmente ci sarà una recensione extra nel week-end postumo alla mia prossima critica, ho visto infatti La grande bellezza, ultimo di Sorrentino. Sono andato a vederlo a puro fine personale, ma non posso non recensirlo, la gente deve sapere quanto il cinema italiano stia sprofondando sempre più nel lercio. L’avrei fatta uscire l’altro venerdì ancora ma passerebbe troppo tempo e sarebbe credo cosa buona e giusta possiate leggerne qualcosa finchè è ancora in sala, non me la sono sentita di invertire l’ordine con Kill Bill perchè volevo fortemente fosse la mia quarta (spero riusciate a cogliere la citazione). Perdonate l’orgoglio.



Il Tarantino

mercoledì 29 maggio 2013

"The Game", by David Fincher



Avete mai ascoltato “White Rabbit” dei Jefferson Airplanes? Se non l'avete ancora ascoltata prendetevi 2 min e mezzo e fatelo. Oggettivamente non trovo una metafora migliore di “White Rabbit” per descrivere “The Game”, un film incentrato sul ritmo e sulla psicologia, che parte lento, lentissimo e accelera sempre di più fino ad arrivare ad una conclusione improvvisa.
Uscito fra i ben più celebri e lodati “Se7en” e “Fight Club” (entrambi di Fincher) “The Game” non riscuote un successo pari a quello del suo predecessore, ne tanto meno quello del suo successore, forse immeritatamente. Ma andiamo subito ad analizzare nel dettaglio “The Game – Nessuna regola”

-Trama

la trama è interessante, forse l'unica scenografia intelligente del duo Brancato-Ferris (anche se sospetto che Fincher ci abbia messo lo zampino più volte nel corso della stesura).
A un uomo d'affari (Michael Douglas) ricco oltre ogni dire e annoiatissimo (oltre che essere un gran bastardo) viene regalata una particolare tessera di iscrizione ad un club esclusivo in occasione del suo compleanno dal fratello (Sean Penn). Il club si propone di poter creare dei giochi di ruolo personalizzati per movimentare la sua noiosissima vita. Titubante il nostro Nicholas accetta, firma liberatorie e viene sottoposto a test psicologici e riguardanti la sua personalità. Il gioco può cominciare in ogni momento a partire da quel giorno, gli viene detto. E infatti comincia senza preavviso, e dopo aver ricevuto una telefonata dal club che gli comunica che la sua richiesta è stata respinta. Piano piano il gioco si appropria della vita di Nicholas, trova delle chiavi, incontra una donna (Deborah Unger), incontra il fratello che sembra impazzito, gli dice che il club gli sta rubando la vita, si sono presi tutti i suoi dati, gli hanno svuotato i conti e non ha più un soldo. Nicholas inizia a non fidarsi più di nessuno. Tutto sembra finto, costruito finchè non capisce la cruda realtà: il club si è preso tutta la sua vita, i suoi soldi, la sua identità ricavando la sua firma dalle liberatorie e servendosi dei test per ottenere tutte le sue password bancarie, ed ora che l'ha spremuto come un limone vuole sbarazzarsi di lui. Stupidamente si fida della donna incontrata pochi giorni prima e quando si accorge della sua vera identità è troppo tardi. Viene drogato, spogliato dei suoi averi e lasciato in Messico senza documenti né soldi. Vendendo l'orologio di suo padre riesce a tornare a casa e progetta la sua vendetta. Il finale? Guardate il film. In questo caso uno spoiler sarebbe una violenza. 2 o 3 colpi di scena concatenati e si arriva agli ultimi 10 minuti del film che non convincono quanto il resto della trama e forse si potevano pensare meglio. In conclusione? Voto: 8

-Soundtrack 

Nella colonna sonora spicca sempre il pianoforte. La colonna sonora originale segue il ritmo dell'azione e accentua in maniera incisiva la forza psicologica del film. Forse un po' monotono alla lunga ma senza dubbio delle tracce azzeccate, anche se non memorabili. Un 7,5 che diventa un 8 per la scelta di inserire “White Rabbit” nei titoli di coda, grande idea. Voto: 8

-Fotografia 

La fotografia fa il suo lavoro ma non è di certo il punto forte di questo film. Abbastanza accademica con qualche pecca, come filtri freddi troppo accentuati (stessa cosa per quelli caldi nelle scene in Messico) e inquadrature talvolta non significative. Buona la sequenza girata dall'alto in casa di Christine (Deborah Unger). Voto: 6,5


-Recitazione 

Attori di calibro come Michael Douglas e Sean Penn sfoggiano recitazioni all'altezza dei loro nomi, soprattutto Douglas che riesce a trasmetterci l'ansia e la rabbia del protagonista nel quale ci immedesimiamo senza sforzo. Penn bravo a nell'interpretare il momento di follia paranoica del fratello Conrad ma si vede poco nel corso del film, non che sia una pecca, sia chiaro. La sua parte era quella e non è lui il protagonista, diciamo però che non è un film in cui ricordiamo “un grande Sean Penn”. Gli altri attori tutti qualificati, degno di nota l'impiegato dell'organizzazione-club che si rivela essere un attore (nella trama), molto convincente. La Unger forse un po' legnosa... ma andiamo subito a vedere nel dettaglio...

.Il Migliore:
Michael Douglas. Senza dubbio un ottima interpretazione nelle scene di rabbia, paranoia e bastardo al punto giusto quando deve licenziare una brava persona. Realistico.

.Il Peggiore:
Deborah Unger. Recita la sua parte, sì. Ma non convince. Bella e tutto il resto ma dall'espressività facciale di un blocco di tufo, inganna il protagonista ma non lo spettatore al quale vien da dire “avanti Nicholas, non hai visto che recitava?”. Finta.

Due attori agli antipodi della recitazione,eufemisticamente parlando naturalmente, la performance della Unger non è così disastrosa ma se uno è “realistico” e l'altra è “finta” è un segnale importante da non sottovalutare. Forse un casting più accurato sul ruolo femminile sarebbe stato utile. Voto. 7,5

-Ritmo 

Il punto di forza del film. Un climax di tensione, azione, paranoia. Il film comincia lentissimo, vediamo la vita noiosa di Nicholas, poi i test al club, scene che dopo un po' ci fanno temere di stare per assistere a un film noioso. Poi il gioco comincia e da quel momento in poi il susseguirsi delle vicende è sempre più rapido e incessante fino al finale quasi inaspettato, brutale, brusco, ma forse tirato troppo per le lunghe. Il film potrebbe vivere anche senza gli ultimi 3 minuti prima dei titoli di coda. Si parlava poco prima di “White Rabbit”, il film segue esattamente lo stesso ritmo. Non ottiene l'eccellenza solo per via del finale dove il ritmo rallenta improvvisamente invece di troncarsi veramente di netto, cosa che sarebbe stata l'ideale. Voto: 9

-Extra

“The Game” non merita la poca attenzione che gli è stata dedicata (e questo gli da un punto bonus, magari se prende un buon voto qualcuno se lo guarda) inoltre lascia allo spettatore un senso di ansia e paranoia, lo stesso che vive il protagonista. Quando finisce ci sembra che non sia finito. Che il film stia continuando da qualche parte, forse dentro di noi, difficile da spiegare. Un film così coinvolgente merita di essere visto e merita un altro punto bonus. Non un capolavoro, ma lo consiglio caldamente. Bonus +2

ricapitolando: “The Game – Nessuna regola” totalizza un punteggio complessivo in decimi di 8


Come detto non un capolavoro ma un film godibile e coinvolgente. Da vedere.

Il Tambu

venerdì 24 maggio 2013

"Night train to Lisbon", By Billie August



Tratto dall’ omonimo libro risalente al “recente” 2007 (che sono riuscito a procurarmi con non troppa fatica) “Treno di notte per Lisbona”, come tutti i film a sceneggiatura non originale non rende onore allo scrittore primario. Premetto che era un film su cui avevo aspettative comunque molto basse, nonostante l’Oscar come migliore film straniero a Bille August nell’ormai lontano 1988 (Pelle alla conquista del mondo), forse perché è un film che trasuda “hipsteria” da tutti i fotogrammi: vedi il titolo, vedi la location, vedi il soggetto. Volendo citare un mio amico “E’ un film così hipster da non avere neanche una pagina su Wikipedia”.

-Trama

Ci sono storie che riescono ad esprimere a pieno il loro fascino solo se estese come da dovere, su carta. Questo è il caso di Treno di notte per Lisbona. August mette da parte molti di quelli che sono i dettagli e le giustificazioni che il libro da (e anche molto bene), sbagliando a mio avviso bellamente, e fornisce una storia a tratti irreale ed incomprensibile.
La storia, molto in sintesi,  parla di un professore di latino di Berna, Raimund Gregorius, che decide di abbandonare la sua vita noiosa e monotona per ritrovare una donna di cui non sa nulla, conosciuta per caso mentre cercava di suicidarsi, partendo così per Lisbona e abbandonando la sua vita e il suo lavoro. Dentro un cappotto dimenticato dalla donna scopre poi un libro che inizia a leggere e dal quale viene molto affascinato, il che lo porterà ad indagare sulle origini dell’autore giungendo nella capitale portoghese.
Ora, come già preannunciato la trama presenta molteplici buchi, ad esempio non capisco come mai dopo il salvataggio della donna non si veda una sola scena di dialogo tra i due mentre si dirigono verso la scuola. Voglio dire, “ciao, mi chiamo Raimund. come mai oggi hai deciso, non so, di suicidarti?”. In realtà nel libro questi dialoghi vengono trattati eccome, e come esempio potremmo prendere proprio l’appena citato caso del (fondamentale) dialogo durante il percorso nel quale, sempre e solo nel libro, il nostro prof si invaghisce della bella portoghese e del suo (secondo lui eh) sensualissimo accento. E’ normale dunque che lo spettatore si senta piuttosto spaesato di fronte a delle scelte di norma emblematiche ma prese così alla leggera e così male da un professore che si presenta come un asso della logica (il film si apre col prof che gioca una partita a scacchi in solitaria, ma quando poi vedi le discutibili decisioni che prende durante il film capisci che forse gioca da solo perché altrimenti verrebbe umiliato anche da una scimmia orba). Credetemi gli esempi sono davvero tantissimi, non ne riporto di più solo perché spiegare i contesti sarebbe estenuante per le mie dita e per i vostri occhi.
Come per Gatsby, decidendo di valutare i film e non i libri giudico la trama per quello che offre il regista e null’altro. Perciò il verdetto dichiara August colpevole di buco nell’acqua, e grosso anche. Anche se a tratti riesce forse quasi a farti interessare alla vicenda, sviluppata devo dire su alcuni intrecci in flashback non troppo banali, gli enormi buchi di trama rendono la sufficienza inammissibile, 5,5.

-Soundtrack

La colonna sonora è ok, non troppo incisiva, arriva e va via che non te ne accorgi e forse è meglio così. Tenendosi sempre sul classico, quasi sempre sul pianoforte, non riesce ad aiutare il film nel suo fallito tentativo di coinvolgimento. C’è da dire che probabilmente la pellicola non merita un soundtrack migliore, è adatto alla base piatta del pathos che offrono tutti i 111 minuti offerti dal regista danese, un 7 solo per la coerenza col visivo e per la mancanza di sbavature nel sound-mixing.
-Fotografia
Basata per la maggior parte sui colori caldi tipici del Portogallo, la fotografia riesce a tratti rari a regalare emozioni, a tratti più frequenti a fare addormentare. Il problema è che ad oggi è difficile trovare un film con una fotografia al di sotto della sufficienza perché forse nelle scuole di cinema odierne insegnano solo quello. Come per il soundtrack è ok, nulla troppo degno di stima e nulla troppo degno di polemica. Poteva esser fatto meglio, soprattutto con gli scenari che offre Lisbona, 6.

-Recitazione

L’appunto più degno di nota del film. Ammettendo di non aver visto il trailer in precedenza ma solo una locandina molto alla lontana, mi son divertito molto a scoprire gli attori man mano che facevano la loro comparsa sullo schermo. A partire da quella di Christopher Lee (famoso al mondo ormai come Saruman), passando da August Diehl (il capitano tremendo di Bastardi senza gloria che scatena la carneficina nel bar), Melanie Laurent (Shoshanna Dreyfus, sempre di Bastardi senza gloria), quel gran figo di Bruno Ganz (Hitler ne La Caduta) e Lena Olin (Josephine in Chocolat).
Jeremy Irons (il nostro protagonista) dopo Ganz è forse il più esperto tra i suoi colleghi, ha un ruolo non difficile e lo interpreta bene, non andando troppo lontano dal suo caratterista però. Bravo si, ma nulla di nuovo. Stessa cosa per Melanie Laurent, già rodata nei panni della femme fatale di turno come in Bastardi senza gloria e Il concerto, non offre nulla di innovativo oltre al colore dei capelli. Brava, bravissima, ma attendo che le venga assegnato un ruolo che dia modo di far capire se le sue doti siano limitate a quella personalità o se possa andare, come spero, ben oltre.
Nessuna interpretazione è riuscita a farmi entusiasmare più di tanto. La storia è sempre la stessa : attori bravi si, ma nulla di eccezionale. Un solo appunto: tra le mie molte predilezioni per i dettagli, ho quella della scelta della lingua di interpretazione. Un esempio molto banale è quando in una scena di un film ci sono due persone di una stessa nazionalità, ad esempio russa, che parlano tra loro e lo fanno in inglese. Cioè no, parlano russo dannazione, russo, non inglese, non lo parlano neanche con gli inglesi figuriamoci da soli, e dai. Ora, questo mio pallino è una delle tante motivazioni che predilige la mia scelta di guardare i film in lingua originale ma, ahimè, nei cinema italiani ciò non è possibile (*moccoli variopinti) e quindi Treno di notte per Lisbona l’ho dovuto vedere doppiato in italiano. Dal labbiale però sono riuscito ad evincere che più o meno tutto il film è stato girato in lingua inglese, e non va bene. A Berna parlano inglese tra di loro mentre dovrebbero parlare tedesco, a Lisbona parlano inglese tra di loro mentre dovrebbero parlare portoghese, o un inglese arrangiato tra il prof e i locali, perché che non me ne vogliano i portoghesi, ma io vi sfido a trovare un anziano prete lisbonese che ti parla inglese come un 91enne nato a Westminster e cresciuto a Londra (e bene sì, Sir C. Lee ha 91 anni). No, non si fa così, errore ormai onnipresente in ogni pellicola, ma pur sempre un erroraccio che a me fa storcere molto il naso.

.Il migliore: Come già detto, nessuno degno di nota. Se non per un’interpretazione, una piccolissima comparsa che però mi ha strappato un sorrisetto : il becchino del cimitero. Non so se sia stato voluto, se sia stata solo un’impressione dovuta dalla mezza battuta che dice oppure no, ma il becchino del cimitero sembra davvero l’unico personaggio portoghese che ha a che fare con uno che parla solo latino e tedesco (e forse inglese). Infatti il prof gli chiede dove sia la tomba di Amadeu De Pradu e il becchino sembra non ci capisca un accidente se non il nome, gli indica la tomba dicendogli “De Pradu”, e poi torna a fare il suo lavoro. È un nulla, probabilmente sarà anche stato un becchino vero ma quei 2/3 secondi in cui appare mi hanno fatto piacere, idolo.

.Il peggiore: La sorella di Amadeu, da giovane, interpretata da una certa Beatriz Batarda. Pessima, pessima davvero. Esordisce tristemente con una battuta al cimitero degna del teatro più finto, riappare poi quando stava per crepare (e sarebbe stato meglio se ci avesse lasciato le penne) e forse solo qui riesce ad interpretare una parte quasi decente (complice il trucco), ma poi ricasca in una performance davvero squallida quando..ehm..piange(?) per la partenza di Amadeu.
Voto totale 7,5, unicamente perchè mi è piaciuta molto la scelta del cast (Batarda a parte). Perde un pò di valutazione anche per la mancanza, per l’appunto, di anche solo un personaggio capace di far esaltare una recitazione fenomenale, e per la scelta dell’attrice di Estefania da vecchia, interpretata negli anni 70 da Melanie Laurent che dimostra 30 anni, nel 2013 Lena Olin che non ne dimostra più di 45/50..dai ma sei serio? Jorge lo fai fare prima da Diehl (classe 76) e poi da Ganz (1941) che nel film dimostrano un gap di invecchiamento notevole e poi, Estefania..mah.

-Ritmo

Come già detto il film non coinvolge, nonostante la trama a tratti intrecciata non ti da troppa voglia di scoprirne di più. La musica non aiuta, le motivazioni non sussistono e il risultato è che non vedi l’ora che finisca. Ah il finale, per l’appunto..Siamo sicuri che si possa definire tale? E’ vuoto, un film vuoto All’inizio ti attira con interessanti osservazioni filosofiche per poi diramarsi nella vita dello scrittore. Perde il filo, non va in profondità a nulla, perde il senso e ti fa perdere la voglia. Un blando 5.

-Extra

Nonostante sia un film non di spessore, forse qualcosina te la può lasciare, ma forse anche no. E’ di ottica molto soggettiva, ricco di dettagli positivi così come di negativi. A tal movente non mi sento di regalare alcun punto in più, tantomeno sottrarne alcuno, è un film che ti viene addosso e ti trapassa senza lasciarti nulla, proprio come il mio extra : da -10 a +10 un bello 0.
In conclusione, aritmicamente si guadagna in decimi un bel 6.2.
Sufficienza risicata, meritata e su misura. Suggerisco comunque di vederlo perché ripeto, è di gusti molto soggettivi, magari vi lascia qualcosa, magari no.


Il Tarantino

mercoledì 22 maggio 2013

"The man with the iron fists", by Robert Diggs




C'era una volta, durante la Golden Age dell'hip-hop, un rapper, produttore e polistrumentista di nome RZA (Robert Diggs) e la sua cricca di ragazzacci conosciuti come Wu-Tang Clan.
Il nostro RZA, appassionato di film di Kung Fu anni '70, produce nel 1993 con il collettivo musicale Wu-Tang Clan l'album “Enter the Wu-Tang (36 Chambers)” titolo citazione a “The 36th chamber of Shaolin” film del 1978 interpretato da Gordon Liu. L'album sfoggia basi campionate da film arti marziali e musica soul ed entra nella classifica dei 500 migliori album di tutti i tempi secondo Rolling Stone (2003). Successivamente RZA si occupa della colonna sonora di “Kill Bill” (volume 1 e 2) e più recentemente di “Django unchained” entrambi di Quentin Tarantino.
È proprio sul set di Kill Bill che RZA prendendo nota della maniera di lavorare di Tarantino ha l'idea di produrre un film di Kung Fu, idea che piace anche a Eli Roth con cui scambia opinioni sul volo di ritorno dall'Islanda a Los Angeles.
Insomma un appassionato con tanta voglia di fare e amicizie influenti nel campo del cinema, si è meritato l'occasione di girare e interpretare un film sul Kung Fu. Avrà saputo ascoltare e mettere in pratica i consigli dei maestri della Settima Arte? Scopriamolo insieme.

-Trama

nel complesso abbastanza intricata ma lineare, davvero pochi colpi di scena ma comunque una storia godibile. Nella Cina feudale il capo della più forte fazione che controlla il villaggio di Jungle Village, viene ucciso dai suoi luogotenenti. L'assassinio fa scoppiare una guerra con un'altra fazione rivale. Il succo della vicenda è però incentrata su un carico d'oro imperiale di passaggio per Jungle Village su cui la fazione dei Lion vuole mettere le mani. Alla fine i vari personaggi si muovono nella storia spinti dai propri obbiettivi personali: il fabbro (RZA) guadagna soldi fornendo armi alle fazioni in guerra per scappare con l'amata Lady Silk, che per vivere fa il mestiere più antico del mondo. Jack Knife (Russell Crowe), lo straniero inglese che alloggia alla casa di piacere di Madame Blossom (Lucy Liu) è in realtà un agente imperiale sotto copertura inviato per vigilare sul transito dell'oro. Silver Lion (luogotenente ammutinato di Gold Lion) vuole naturalmente appropriarsi dell'oro ad ogni costo mentre X-Blade, figlio di Gold Lion vuole vendicare suo padre. “Che casino”, direte. È più lunga da spiegare di quanto non sia da vedere. Fatto sta che il fabbro salva la vita a X-Blade che stava per soccombere alla forza di Brass Body (Dave Bautista. Sì lui. Quello grosso. Quello del Wrestling.), e rifiutandosi di rivelare dove si trovi X-Blade viene mutilato delle braccia (ouch!) e salvato a sua volta da Jack Knife. Con il suo aiuto costruirà i famosi “Pugni di ferro” del titolo del film, delle braccia metalliche che lui è in grado di muovere come arti veri essendo stato addestrato dai monaci al controllo del “chi”, come si vede nel flashback (dove fa un cameo la grande Pam Grier e Gordon Liu).
Beh, un sacco di cose concentrate in un ora e mezza di film. Decisamente troppo poco. Sono evidenti i tagli fatti in fase di post produzione e confidando nel rilascio di un DVD director's cut da almeno 2 ore assegno alla trama un 6

-Soundtrack

qui RZA fa quello che sa fare meglio. Il film è accompagnato dalle tracce del Wu-Tang Clan e si conclude difatti con la traccia registrata appositamente per il film. Una scelta, quella dell'hip-hop, che farà storcere il naso ai puristi del genere, ma siccome a noi non piacciono gli estremismi di ogni tipo sono contento di affermare che non ci può fregare di meno. Belle tracce hip-hop con campionamenti di musica tradizionale cinese, seguono abbastanza bene le azioni, soprattutto nelle scene di combattimento. Fra gli artisti partecipanti oltre allo stesso RZA, Method Man, Gostface Killah e il Wu-Tang Clan anche Kanye West e i The Black Keys. Voto 8


-Fotografia

passiamo qui alla pecca più grossa del film. RZA fa tutti gli errori tipici del regista esordiente al quale vengono messi a disposizione grossi mezzi e un budget importante. RZA non tiene ferma un inquadratura, anche nelle scene statiche e sbaglia tutti i raccordi, troppo complicati. Nel complesso un pastrocchio. Anche gli inserimenti di sequenze tagliate “a vignette”, ispirate probabilmente da Tarantino, sono utilizzate in maniera sbagliata. Tarantino, che già le utilizza di rado, se ne serve per enfatizzare inquadrature statiche cariche di patos, che meritano magari una doppia inquadratura simultanea. RZA sbaglia inserendole nelle scene di combattimento, rendendo le evoluzioni delle arti marziali (armoniche e ben realizzate) confuse e fastidiose. Mi spiace ma è un 4.

-Recitazione

il cast è ottimo, fra Russell Crowe e la divina Lucy Liu anche gli attori meno conosciuti si danno da fare. Vediamolo più nel dettaglio prendendo in oggetto il migliore e il peggiore della pellicola.

.Il Migliore:
Russell Crowe. Un istituzione del cinema. Ho visto molti film con Russell, alcuni belli, altri brutti (vedi The Next Three Days), quello che mi ha sempre impressionato è il suo essere impeccabile nella recitazione. Davvero un talento. In più il suo personaggio è decisamente il migliore di tutta la storia. Beve, fuma (anche oppio), va a donne ed è pure buono e salva la situazione. Su questo personaggio volevo regalarvi un piccolo spunto di riflessione: Hollywood ci ha inculcato in maniera subdola che chi va a donne, chi beve, chi si droga, spesso anche chi fuma è il cattivo. E se non è il cattivo fa una brutta fine. Ebbene questo personaggio rompe gli schemi, e ci voleva.

.Il Peggiore:
RZA. Il buon Robert Diggs mi perdoni ma nel suo film il peggiore è proprio il regista che presenta un'interpretazione piatta e legnosa che ci saremmo aspettati da Dave Bautista (e così è stata) ma che non si addice al suo personaggio. Peccato, comunque lo perdono.

In sostanza, voto 6

-Ritmo

Come dicevamo poco fa per quanto riguarda la trama il ritmo è troppo veloce per la quantità di cose che succedono. Ad esempio la scena dell'incontro fra X-Blade, Jack Knife e Blacksmith si risolve in un “armiamoci e partiamo” davvero poco realistico. Il film andrebbe rivisto senza i tagli, sono certo che sarebbe molto più godibile. Per il momento è un 5.

-Extra

fra i punti extra posso dire che i combattimenti sono veramente ben realizzati, le coreografie sono molto studiate, peccato per gli errori di regia che talvolta li rendono poco godibili. Solo un +1

un +1 che basta però ad arrotondare il precedente totale di 5.8 a 6 pieno

Un film che cinematograficamente parlando non è dei migliori, gli errori sono numerosi e talvolta grossolani. Un'attenuante è data dal fatto che è la prima volta di RZA dietro la macchina da presa e che fosse decisamente la persona che più si meritava di poter fare un film sul Kung Fu. Di certo anch'io avendo a disposizione un'attrezzatura del genere avrei fatto gli stessi errori (“oh mio dio, un dolly, fatemi provare quel dolly!”) e forse il vero errore dietro alle pecche del film è stato proprio questo. Ad ogni modo anni di passione sono stati ripagati a RZA che sono certo che consideri questo film un po' come la realizzazione di un sogno.
Se siete fan di RZA, del Wu-Tang o avete voglia comunque di un film d'azione sopra le righe guardatelo, se siete dei puristi lasciate perdere.

Il Tambu

sabato 18 maggio 2013

"The great Gatsby", by Baz Luhrmann




In Francia hanno il Bel-ami di Maupassant, in Inghilterra detta legge il ritratto di Dorian Gray, in Italia il più celebre è Il piacere D’Annunziano e alla stessa maniera in America i bambini aprono i loro orizzonti col Grande Gatsby del celebre romanziere del Minnesota.
Per dirvi, in America Il grande Gatsby è un istituzione, un mostro sacro. E’ difficile trovare un americano che non ci abbia avuto a che fare e dunque riterrete lecito che quando qualcuno decida poi di farci un film le pretese siano alte, e parecchio.
La sfida inerente al grande schermo l’hanno raccolta fin’ora in quattro : Herbert Brenon nel ‘26 (un solo anno dopo l’uscita del romanzo), Elliott Nugent nel ’49, Jack Clayton nel ’74 (con sceneggiatura di Francis Ford Coppola) e, quest’ultimo il motivo per cui siamo qui, Baz Luhrmann nell’attuale 2013.

-Trama

In parole spicce la trama ha come narratore in prima persona Nick Carraway (Tobey Maguire, noto per il ruolo di P. Parker nei tre Spiderman di Raimi e per l’albino Hitch-hiker in Paura e delirio a Las Vegas), un azionista americano che si trasferisce a West Egg, un villaggio di fantasia localizzato a Long Island. Essendo ora a due passi da sua cugina Daisy (Carey Mulligan) inizia a frequentare lei e le sue conoscenze, soprattutto il marito Tom (John Edgerton). Vittima del festaiolo stile di vita Newyorkese inizia a consocere, anche se solo di nomina, un certo Gatsby. Scopre successivamente di esserne il vicino, scrutandolo spesso dalla finestra, finchè poi non riceverà un invito ad una sua festa dove conoscera personalmente Jay Gatsby (Leonardo DiCaprio), diventando così spettatore interno del suo mondo, delle sue feste e soprattutto delle sue memorie.
Ora, io ho avuto il piacere di leggere il romanzo di Fitzgerald ed ho avuto anche il grande piacere di leggerlo in lingua originale, rimanendone particolarmente entusiasta. Che però rendere onore ad uno scrittore e al suo libro per un regista fosse affare assai complicato è una cosa che ormai sappiamo tutti e che abbiamo già visto più e più volte (volendo ri-citare il Bel-ami di Maupassant: Le bestemmie più colorite non bastano a descrivere Pattinson nel ruolo di George Duroy.), ecco perchè prediligo le sceneggiature originali o per lo meno ritengo che i registi non debbano avere l’aspettativa di riuscire ad eguagliare quello che ti da il libro. Abbiamo avuto però anche moltissimi esempi di film che, anche se ispirati da libri, sono riusciti comunque a darci grandi impatti, magari raccontando anche storie divergenti, o riuscendo ad applicare grandi capacità di sintesi ma comunque coinvolgimento, il primo esempio che mi viene in mente è Il buio e il miele, un romanzo di Giovanni Arpino che ha poi ispirato Profumo di donna (ovviamente mi riferisco a quello di Dino Risi col leggendario Vittorio Gassman, e non alla patacca di Martin Brest con Al Pacino).
Baz Luhrmann, dal suo canto, sbaglia tutto. Ma proprio tutto. Partendo dal presupposto che quando giudico la trama di un film giudico solo quella del film, senza far paragoni con quella del libro da cui è tratta perché la libertà del regista è sacrosanta e qui non si discute, però permettetemi di mandare a cagare il regista una buona dozzina di volte, perchè Joy Gatsby, quello vero, quello di Fitzgerald, è un profondissimo personaggio dalle mille sfaccettature, è un uomo strepitoso, è un self made man, è molto solo e, solo per ultimo, l’aspetto forse meno interessante del manoscritto, è anche un uomo innamorato. Luhrmann decide invece di centralizzare la storia sulla relazione tra lui e Daisy, ma non riesce neanche a farlo troppo bene. Da quanto ci mostra il film, quando Gatsby era ancora un poveraccio incontra Daisy ha colpo di fulmine, poi lui parte per la guerra e una volta ricco decide di riconquistarla, lei acconsente ma poi ha titubanze, e allora Tom mostra a Daisy il vero lato di Joy, le sue origini non aristocratiche e i suoi modi rudi, facendogliela perdere per sempre. Avrei giurato di non dirlo mai, ma forse persino Twilight offre una storia d’amore un attimo più avvincente. Tutto il resto della pellicola sono sfarzi, inutilità, inesattezze, belle musiche e nulla più. Che Lurhmann fosse un romantico ormai lo si era capito, ma non riesce neanche a dare spessore a ciò che più gli sta a cuore. Il personaggio fitzgeraldiano è fenomenale per altre cose, altri aspetti, aspetti che il regista non ci ha mostrato, introducendo col dialogo iniziale Gatsby come un grand’uomo, unico ed inimitabile, ma senza poi spiegare effettivamente il perché durante il film al che, alla fine del tutto ti chiedi “ma perchè il grande?”.
Vuoto, inconcludente, non ti fa appassionare a nessuna delle vicende che si svolgono (forse solo a quella del lato nascosto e malavitoso di Gatsby, che però apre ma non chiude), c’è solo una scena e mezza di tensione ma entrambe gestite malissimo e non ti da materiale per poterti affezionare a neanche uno dei personaggi, Gatsby compreso, tant’è che alla fine quando muore neanche ti dispiace.
Il voto di norma sarebbe un 4, ma sento di doverlo abbassare ancora di più perchè le basi buone, ottime per una trama che sapesse il fatto sua Luhrmann ce le aveva, ma le ha cestinate di sana pianta:  3.

-Soundtrack

Tra gli aspetti più invitanti del film senz’altro le colonne sonore, artistoni pesi massimi con pezzi davvero ma davvero belli. Se il film quindi è costato 210 milioni di “bucks” gran parte del merito sarà stato del sonoro. Interessanti alcune scelte come quella di sostituire il Jazz con l’Hip Hop, definito da Luhrmann la musica nera di oggi e qui magari ti do ragione, perché se all’epoca avevano Armstrong e Coltrane noi oggi abbiamo Jay-Z e Kanye West ed effettivamente sono più coinvolgenti per il clima di “party” che ci hai tanto voluto dare, però permetti che tu mi fai un film nel cuore degli anni del Jazz e non mi fai sentire neanche un po di Redding se non vagamente un mezzo trombettista durante un bordello? Inoltre, le musiche servono per il clima, per l’interpretazione, giusto, e a tal proposito vengono usate benissimo nel clima festaiolo, ma completamente non valorizzate durante il resto del film. Se non per Young and beautiful di Lana Del Rey, proposta più volte, quasi per integrale e addirittura anche in cover, degli altri pezzi viene sfruttato ben poco, del grande potenziale emotivo che hanno. Un esempio su tutti Over the love di Florence Welch, un pezzo meravigliosamente frustrante nelle sequenze finali ma che viene utilizzato solo per quelle iniziali, in cover, quasi a cappella e in una delle scene più inutili del film. Mi verrebbe da assegnare un 4 per l’utilizzo ma poi ricordo la qualità effettiva dei pezzi e proprio non riesco a scrivere meno di 6.

-Fotografia

Simon Duggan è menzognero, avendo mezzi potenti ne sfrutta propriamente le capacità grafiche, fornendo nulla più che sequenze di grande qualità grafica e grandi contrasti, nulla che non si sia già visto. Solo campi larghi, nulla di innovativo e il tutto tra l’altro dopo un po diventa davvero banale. Pochissimi i casi in cui si siano andati a studiare un attimo i colori per il piacere della retina. Ma non solo, ho fatto la pessima decisione di andare a vedere il film in 3D e... che dire... si sa che i soggetti in rilievo soffrono le sequenze veloci ma comunque ne inserisce di continuo, minando la pazienza dell’occhio in continuazione. E non è finita, perché la computer grafica è pessima: vedi la scena in cui la macchina gialla sfreccia sotto il ponte, vedi la scena finale di Gatsby morto nella piscina con gli scatti dietro, palesemente finte, per poi non parlare della pessima sequenza dell’incidente. 4 perché sono generoso ed un consiglio : quei macchinari dateli a chi ha più fantasia.

-Recitazione

.Il peggiore: Parto direttamente con questa voce perché è bene chiarire perché l’interpretazione, in questo film, non sia stata esaustiva. Il peggiore in questo caso non è un attore dalla performance deludente, ma Baz Luhrmann. Con le sue rapidissime sequenze flash non da il tempo di osservare il paesaggio del volto umano, le sue movenze e le sensazioni che vuole esprimere. La performance di ogni attore non è valorizzata ma mascherata, non c’è lo spazio che dovrebbe avere per metterci del suo e stabilire chi abbia recitato meglio o peggio degli altri diventa davvero difficile.
.Il migliore: Per quel poco che si è visto, DiCaprio. Senza dubbio tra i migliori in circolazione e infatti quasi riesce a darti qualcosa in quelle feritoie di spazio che Luhrmann gli lascia. Ti dispiace solo che sia stato usato lui per questo ruolo quando poteva essere usato benisismo un altro interprete, lasciando Leo libero per un ruolo in qualche altro film che lo avrebbe reso senz’altro più apprezzabile.
Complessivamente gli attori erano tutti professionisti capaci, ho un po di dubbi solo sulla scelta di Joel Edgerton nel ruolo di Tom, dalla descrizione di Fitzgerald me lo immaginavo un bel po diverso, ma è il neo che passa al piano più basso vista l’entità degli altri. 6

-Ritmo

Le capacità di scelte di ritmo del regista emergono subito dal primo passaggio di scena: dalla sequenza lenta e melanconica con cui Luhrmann apre per fare il figo, bruscamente si passa a quella veloce e fastidiosa che usa per narrare la situazione goliardica di New York ai tempi del proibizionismo. Per il resto si mantiene sui passaggi flash tipici di chi vuole far vedere tanto ma con poca qualità, facendolo male e rovinando dettagli che il pubblico magari vorrebbe godersi. Arrivato a metà film ti metti le mani in testa notando sia passata solo un’ora e ne debba passare ancora un’altra. E la trama senz’altro non aiuta. 4.

-Extra

Credo che ciò che penso del film sia chiaro. Luhrmann non è un regista da film, non è capace di trasmettere nulla al pubblico e nel cinema non solo è importante, ma essenziale. Il problema è che non solo è un film tremendamente mediocre, il che gli farebbe prendere quel 4/4,5 e via, ma presenta una bella lista di aggravanti.
1.Il budget. Non puoi investire un budget così importante e poi farci uscir fuori questa roba. No, no e no.
2.La propaganda. Un film pubblicizzato oltre ogni limite e la cui qualità si intuiva però già dal trailer. Propaganda immeritata, soldi buttati.
3.Il film è l’emblema della società odierna: tantissimi soldi messi a disposizione di un regista che non ha mai fatto nulla per meritarli, pubblico ignorante attirato in maniera atroce per il lusso che il film propone, il grande Gatsby di Luhrmann è il bene Veblen per eccelleza che mostra lo stato di ricca ignoranza della richiesta su cui mangia la domanda del sistema odierno, che inevitabilmente contagia anche il cinema.
4.Non mi stancherò mai di ripeterlo: è stato rovinato un capolavoro di letteratura e la gente che prima poteva esserne interessato abbandonerà l’idea di leggerlo prendendolo per un testo frivolo.
Meno un punto per ognuno dei precedenti, ma solo perchè mi sono voluto fermare: -4.

Il voto in decimi raggiunge quindi un bel 3,8

In conclusione vorrei solo raccontare una piccola vicenda che mi ha fatto capire una cosa:
Solitamente non leggo mai recensioni prima di andare a vedere un film, ma me ne fu linkata una su cui il mio occhio non ha potuto fare a meno di cadere, e parlava di un piccolissimo scambio di opinioni in cui i giornalisti da una parte chiedevano il perché di quelle scene in cui la gente di colore faceva festa, usando come servitù dei bianchi, non essendo coerente con la condizione dell’epoca. Dal mio canto sinceramente non glie l’avrei neanche chiesto, essendo tutto il libro di stampo dichiaratamente schiavo-razzista l’avrei interpretata come una scena voluta da Luhrmann come di ripicca dei neri nei confronti dei bianchi, ma la risposta del regista è stata inquietante: secondo lui Fitzgerald nel libro parlava chiaramente di queste vicende di festa nera e schiavitù bianca, e allora la domanda sorge spontanea: “Luhrmann, ma Il grande Gatsby l’hai letto davvero?”





Colgo l’occasione per ringraziare i lettori (si, esatto, tutti e due) e per stendere molto velocemente una scaletta:
Il venerdì verrà rilasciata la mia recensione, su un film quasi sempre pre-annunciato, mentre il mercoledì sarà il turno di quella del mio collega il Tambu, che esordirà con un brillante reportage su l’uomo dai pugni di ferro, pellicola d’esordio come regista di RZA (Robert Diggs).
Venerdì prossimo sarà probabilmente il turno di Treno di notte per Lisbona, ultimo lavoro del danese Billie August.

The Tarantino

mercoledì 8 maggio 2013

Guida alla recensione

Una piccolissima guida per spiegare le varie voci sotto cui verrano recensiti e giudicati i film.

N.B. Ritengo che tutta e dico tutta la recensione sia un grosso SPOILER inerente alle aspettative del film. Infatti, solitamente, prima di vedere un film, difficilmente ne leggo la critica, anche solo di valutazione, per non “condizionare” quello che poi sarà l’impatto che il filma avrà su di me. Detto ciò, porrò comuqnue dei segnali spoiler posti qua e la nella recensione qualora ci dovessero essere anticipazioni di trama.

-Intro.
In questa sezione verrà esposta una piccola introduzione al film. Le aspettative, i paragoni a versioni precedenti o ai libri da cui son tratti, elementi degni di nota o forti opinioni che devono essere date.

Vi saranno poi 5 punti principali + 1 di extra, ogni punto avrà una valutazione che andrà da 1 a 10 (un film “perfetto” quindi, verrà valutato 50). Approfondiremo poi la voce Extra.

-Trama.
Punto dedicato alla profondità della trama, nulla da spiegare, credo sia abbastanza intuitivo come punto di valutazione.

-Soundtrack.
Voce che mira ad esaminare la colonna sonora del film, dalla qualità dei brani al sound mixing passando per la scelta dei binomi sonoro/immagine.

-Fotografia.
Qualità della fotografia, scelta dei colori, delle sequenze ed eventualmente degli effetti speciali.

-Recitazione
Anche qui ben poco da spiegare insomma, si tratta delle capacità di recitazione dei personaggi, dai main characters alle comparse, ogni elemento avrà il suo peso.
Questa voce avrà inoltre due sottovoci :

.Il migliore: l’attore con la performance migliore di tutta la pellicola
.Il peggiore: ..non ci arrivi da te?

-Ritmo
E’ la capacità del film di tenersi vivo, far si che lo spettatore non si scolli, il pathos che riesce a dare e con quale costanza.

-Extra
Avete presente quando un film è effettivamente fatto bene ma proprio non vi lascia niente? Quando gli manca quel nonsocchè? Oppure quando vi rendete conto che è fatto davvero male ma nonostante ciò sia riuscito a trovare un posto nel vostro cuore? Ecco, questa è quella voce senza troppa logica che risce a far giustizia al “gusto” vero e proprio, al tocco che un film da al vostro palato. E’ l’unica voce la cui valutazione va da -10 a +10, capace di risollevare le sorti di malaugurati casi, rovesciarne di fortunati, o addirittura innalzare oltre il limite un capolavoro di cinematografia.

Valutazione finale:
Una piccola conclusione personale, la somma dei voti in decimi ed una piccolissima valutazione, meglio vista come comnsiglio, personale.